Verona Tessile 2025

VeronaTessileLogoEccoci qua, con l’abituale ritardo, a parlarvi di Verona Tessile 2025.
Va detto che stavolta ho una scusante, ovvero che subito dopo la mia puntata a Verona sono stata abbastanza impegnata nell’allestimento della mia personale, che poi sarebbe la prima se non contiamo quella realizzata tanti anni fa a Grado in coppia con un’altra quilter.
Comunque ho deciso di rispettare l’ordine cronologico e di non sfuggire ai doveri che questo blog m’impone, quindi Verona Tessile sia.
Abbiamo scarpinato parecchio, ma già lo sapevamo, quindi eravamo preparati dal punto di vista calzaturiero, anche se in qualche caso ci sono state delle difficoltà per localizzare la sede di alcune esposizioni, e, per vari motivi, abbiamo rinunciato a quella nella galleria degli affreschi.
Ma veniamo a quanto visto in quel di Verona.

Inizierei con un’opera di grande impatto visivo lunga ben 12 metri, posta all’ingresso del Palazzo della Provincia. Diciamo che era una sorta di benvenuto che certamente non passava inosservato.
DAMSS
DAMSS – Aria, dall’alba al tramonto
Da più di dieci anni il duo artistico DAMSS, composto da Daniela Arnoldi e da Marco Sarzi-Sartori si cimenta in creazioni tessili che superano la visione formale del patchwork, con temi e rappresentazioni indiscutibilmente originali.
Di loro ho ancora memoria di uno splendito trittico visto in Val d’Argent, intitolato “Città future”, ovvero Milano, Roma e Venezia nell’anno 3000. Il fatto che per la realizzazione di “Aria, dall’alba al tramonto” si sia fatto ricorso anche alla IA (Intelligenza Artificiale) mi preoccupa un po’, e devo ancora decidere se mi sta bene o meno.

 

Quasi a fare da contraltare a quell’opera futuristica, a destra dell’ingresso c’era un quilt realizzato con una delle tecniche più tradizionali, l’appliqué.
Rita Frizzera - Summer Woodland

Rita Frizzera – Summer Woodland

Rita Frizzera è maestra di questa tecnica, tramite la quale ha realizzato delle opere d’arte raffinate, senza mai eccedere in leziosi barocchismi o scendere in facili soluzioni d’effetto.

 

Nel patchwork può capitare di ritrovare dei motivi ricorrenti, ogni volta declinati cromaticamente a estro dell’artista. Uno di questi raffigura le variazioni di luce e calore, quale che sia la loro origine. In genere c’è di mezzo il fuoco, che può essere quello di una fiamma, di una stagione, di un sole, oppure, come nell’opera sottostante, quello di un vulcano.
Maria Cancella - Il mio Vesuvio

Maria Cancella – Il mio Vesuvio

Il nero della pietra lavica fa da cornice al magma appena appena trattenuto sotto la superficie, come se Maria Cancella avesse gli stessi poteri di Efesto, e mentre lui forgia le armi di Achille nelle viscere dell’Etna, lei compone opere tessili all’interno del Vesuvio.

 

SAQA (ma come si pronuncerà?) porta sempre delle collezioni interessanti. Quella vista a Verona si intitolava “Celebrating our Heritage”, ossia celebrare la nostra tradizione, una serie di piccole opere 30x70cm provenienti da tutta Europa e dal Medio Oriente.
Tra le tante, mi ha catturato questo elegantissimo patchwork, dove l’eleganza significa ottenere un effetto gradevole col minimo degli elementi e il massimo della semplicità.
Alexandra Kingswell - Luce antica

Alexandra Kingswell – Luce antica

Ditemi, non sembra anche a voi di stare osservando la luce del giorno che attraversa una coloratissima vetrata?

 

Miranda Renard è una specialista dello “String Quilt“, una tecnica che le permette di rappresentare immagini complesse mediante elementi essenziali, come se se disegnasse con tratti di un largo pennarello. 
Miranda Renard - Raccolta del grano

Miranda Renard – Raccolta del grano

A quanto ne so, lei è norvegese, ma vive ad Alicante, ragion per cui forse ha trovato in Spagna la luce giusta che le serviva per illuminare un quadro nordico della sua tradizione.
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Abel Grimmer – Skuronn – Fonte: Wikipedia

Immagino che Skuronn sia anche il titolo originale della sua opera, parola che deriva dall’unione del verbo norvegese “å skjære” (tagliare) col norreno “onn” (anno), ovvero si tagliava il lavoro di un anno, la mietitura del grano.
Più tradizionale di così… 

 

Una delle attività tipiche dell’archeologia è il carotaggio. In buona sostanza, si infila nel terreno un grosso tubo abbastanza lungo, e al momento di estrarlo, quello si porta al suo interno tutti gli strati di terreno che ha attraversato, il che forma appunto una sorta di “carota” da esaminare.
Mattea Jurin ha immaginato di eseguire questa operazione nel suolo della penisola italica, e mediante la stoffa ha visualizzato il risultato della sua ricerca in un quilt molto originale.
Mattea Jurin - Sotto la superficie

Mattea Jurin – Sotto la superficie

Non v’è dubbio che le nostre città sorgono su strati e strati delle civiltà che hanno la nostra, e a quelle non dobbiamo solamente i materiali che abbiamo riciclato, ma anche e soprattutto alcuni aspetti culturali che caratterizzano questo angolino del pianeta.
Vedendo quest’opera mi è impossibile sopprimere due riflessioni poco confortanti. La prima è che, contrariamente a quanto si augura l’autrice, tra mille anni i nostri propropro…nipoti troveranno uno strato composto da immondizia varia, rottami di latta, monconi di cemento armato e mari di plastica in vari stadi di degrado, niente di memorabile e tanto meno edificante. La seconda riflessione riguarda la scarsissima consapevolezza del fatto che quelle antiche culture non sono sorte dal nulla, ma per la maggior parte sono il risultato di migrazioni dal Mediterraneo Meridionale, ossia quelle stesse sponde dalle quali partono oggi i disperati che malvolentieri accogliamo, e che qualcuno vorrebbe addirittura prendere a cannonate.

 

E già che si stava parlando di migrazioni…
La nonna di Leah Cooke era ungherese, quando la sua terra faceva ancora parte di quell’impero nel quale si parlavano liberamente quattordici lingue diverse. Prima della Grande Guerra, nell’Impero Austro-Ungarico era normale che una persona minimanente istruita conoscesse altre lingue, anche grazie a un sistema che prevedeva già dal 1775 l’obbligo scolatico fino al compimento del dodicesimo anno d’età (scuola estiva compresa…). Per non sbagliare, la nonna di Leah Cooke ne imparò nove.
A 19 anni emigrò con la famiglia negli Stati Uniti, stabilendosi in una cittadina mineraria della Pennsylvania. E qui la sua storia prende una piega romanzesca, quando cercarono di imporle un matrimonio combinato. Possiamo ben credere che una persona che parlava nove lingue e che aveva già lavorato a Vienna e a Budapest (quella Vienna e quella Budapest!) fosse restia a sposare un onesto ma limitato minatore, perciò la stessa mattina del suo matrimonio programmato saltò dalla finestra al secondo piano della sua casa, andò alla stazione e prese il primo treno in partenza.
Finì col trovare lavoro a Perryopolis, presso la tenuta di Alfred M. Fuller, un multimilionario commerciante di carbone e legname, con la mansione di giardiniera (e chissà che giardino…), si sposò con chi gradiva lei ed ebbe otto figli.
Leah Cooke - Lei ha coltivato i fiori

Leah Cooke – Lei ha coltivato i fiori

L’artista ha voluto ricordarla così, immaginandola parte di un giardino nel quale anche lei è un fiore, uno dei più belli, ma anche uno dei più resistenti alle inclemenze della natura, siano esse di origine metereologica oppure umana. Non volle sottostare al destino che altri avevano scelto per lei, e per tutta la vita coltivò con coraggio e dedizione il “suo” destino.
Un ultima annotazione. La scritta “Pěstovala květiny” significa appunto “Lei coltivava i fiori”, ma non è in ungherese, bensì in ceco, il che la dice lunga sulla tradizione multilingue di quelle terre. 

 

Se andate a dare un’occhiata al post “BPM 2024 – One Step Beyond“, troverete la foto di un quilt che mi ha incuriosito parecchio. Si tratta di “School of Fish”, realizzato da Roswitha Schmit, e a Verona l’ho ritrovata con un’opera totalmente diversa, ma non per questo meno interessante.
Roswitha Schmit - Memoria di Gustav Klimt

Roswitha Schmit – Memoria di Gustav Klimt

Roswitha Schmit - Memoria di Gustav Klimt - Detail

Roswitha Schmit – Memoria di Gustav Klimt – Detail

Essendo austriaca, è logico che Roswitha Schmit trovi in Gustav Klimt uno delle figure artistiche più determinanti del ‘900 nel suo paese, al pari di Schiele, Schönberg, Strauss, Moser, eccetera.
Però lei non ha voluto realizzare una “cartolina” che riprende uno dei suoi famosi quadri, qualcosa che sarebbe potuta apparire tutt’al più come una caricatura, bensì ha inteso riproporre uno dei temi del periodo più felice della produzione artistica di Klimt, quelle leggere volute della Art Nouveau.
Gustav_Klimt

 

Less is more“, queste sono state le parole d’ordine che artisti e architetti iniziarono a scandire negli anni ’60, dando origine al movimento minimalista che trova ancora oggi momenti di applicazione.Decenni prima Paul Klee, con le sue opere, aveva gettato i semi di una forma espressiva ridotta all’essenziale, influenzando generazioni di artisti.
Nelle parole che Inge Dusi ci ha lasciato, lei non fa mistero del suo innamoramento per Klee, e le opere tessili che ha realizzato sono chiaramente percorse da una ricerca di oggettività.
Però ciò che le rende uniche è la contaminazione con una tecnica lontanissima da ogni codifica stilistica, sia in senso culturale che geografico. 
Inge Dusi

Inge Dusi

La sua “via di Damasco” fu una visita al Museo Tessile Precolombiano di Lima, dove intuì come gli effetti cromatici di un sistema millenario di tintura delle stoffe della cultura Nazca-Wari, denominato “Amarra“, potessero dar forma a vere e proprie opere d’arte. La legatura delle stoffe creava disegni e sfumature casuali e intriganti, e cambiando sistemi e materiali di legatura le possibilità espressive diventavano pressoché infinite.
Una tecnica simile, sempre molto antica, è quella giapponese, denominata “Shibori“, ed è più nota solamente per il fatto che il continente sudamericano sconta un fattore di isolamento economico e sociale peggiore rispetto al “ricco” Giappone.
Inge Dusi - Detail

Inge Dusi – Detail

Inge Dusi - Huella precolombiana

Inge Dusi – Huella precolombiana

Inge Dusi - Huella precolombiana - Detail

Inge Dusi – Huella precolombiana – Detail

Che dire, se non è arte questa non so come altrimenti si potrebbe definirla. La scelta di utilizzare una tecnica antichissima per realizzare delle opere degne di un’attuale galleria d’arte moderna è la quintessenza del patchwork, ovvero rappresenta il perfetto riutilizzo dei materiali, stavolta culturali invece di tessili, che altrimenti sarebbero andati perduti. 

 

Sempre restando nell’ordine di opere con dimensioni “generose”, eccovi un’opera realizzata dalle quilter delle città genellate con München (Monaco di Baviera).
Si tratta di ben 136 tessere che formano un patchwork lungo almeno sei metri, e adorna l’atrio della sala da ballo del Vecchio Municipio di München.
Monaco e le città gemellate

Ein Quilt für München

Monaco e le città gemellate + Detail - 01

Ein Quilt für München – Detail

Monaco e le città gemellate + Detail - 02

Ein Quilt für München – Detail

In occasione dei 65 anni di gemellaggio con Verona, quest’opera è stata esposta in una grande sala dell’ottocentesco Palazzo Barbieri, dove faceva indiscutibilmente la sua figura. Mi sono divertita a cercare di capire da dove provenissero alcune tessere, dato che sono ben otto le città gemellate con München.

 

Non so come voi abbiate passato il 2020 e il 2021, ma se state leggendo queste righe è evidente che quegli anni li avete passati.
L’isolamento, i bollettini, il coprifuoco, le limitazioni, i lasciapassare, le vittime, la strisciante paura, ci hanno portato sensazioni che maggior parte di noi ignorava, quelle di una guerra.
In realtà non si trattava di una guerra, bensì di una pandemia, un evento (naturale o meno) nei confronti del quale ci siamo trovati impreparati, quando invece dovevamo e potevamo esserlo. Ma la retorica e i termini utilizzati non facevano che rafforzare questa sensazione, forse solamente per mascherare le croniche manchevolezze del Ssn.
Era inevitabile che quello stato di cose influenzasse anche lo spirito creativo, e nel 2021 diciotto quilter italiane hanno deciso di associarsi per realizzare una serie di opere ispirate alle poesie di Giuseppe Ungaretti scritte durante la Grande Guerra, utilizzando il verso “Anche il cielo stellato finirà” per il titolo della mostra.
Marianovella Hemala - Sono una creatura

Marianovella Hemala – Sono una creatura

Lucia Fedele - Inverno

Lucia Fedele – Inverno

Un discorso a parte va fatto per il quilt sottostante.
Stile Malena si caratterizza spesso per opere di grande effetto dinamico, nelle quali lei lavora la stoffa come se usasse dei pennelli a olio. 
Non c’è dubbio che io provi un particolare interesse per tali contaminazioni stilistiche, perciò è abbastanza normale che il quilt intitolato “Veglia” sia uno di quelli che più mi sono piaciuti a Verona.
Stile Malena- Veglia
Stile Malena- Veglia
La storia però diventa veramente interessante quando si va a indagare sulla genesi di quest’opera (ovviamente chiedendo lumi all’autrice).
Stile Malena era rimasta colpita da un verso che recitava così: “Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato”. Dopo qualche ricerca, scoprì che si trattava della poesia “Veglia”.
Per rappresentare l’angoscia di quella situazione disperante, una veglia funebre a un corpo dilaniato, la minaccia di una prossima egual sorte, lei trasse ispirazione da un quadro di arte astratta che le era passato sotto agli occhi. Il risultato è un quilt che gronda sangue, odora del fumo nero degli incendi, sprofonda nel terreno sconvolto dalle bombe, ferito dalle tracce di schegge e pallottole provenienti da ogni direzione a caccia della prossima preda.
A tutto ciò si aggiunge una faccenda per certi versi bizzarra, ovvero abbiamo scoperto che il profilo rappresentato sulla stoffa è risultato terribilmente simile a quello dell’isola di Veglia, nell’Adriatico. Come dire: un titolo double face.
Veglia

 

Per motivi che ignoro, non mi è mai capitato di incrociare prima le opere di Lena Meszaros, e sono certa che non sarebbero passate inosservate.
Nel suo stile trovo delle affinità con quello della prima Irina Voronina, una delle quilter che amo di più, e non è strano in quanto anche lei è, in parte, russa.
Lena Meszaros - Acqua alta

Lena Meszaros – Acqua alta

Lena Meszaros - Acqua alta - Detail

Lena Meszaros – Acqua alta – Detail

Anche se nel titolo non viene specificato, appare evidente che si tratta di Venezia, un luogo che non manca mai di affascinare ogni artista che vi si avvicina, e le quilter non fanno eccezione.
L’approccio di Lena Meszaros però mi pare diverso. Lei evita ogni rappresentazione stereotipata, non cede allo scorcio suggestivo, non si fa impressionare da monumenti o storie più o meno veritiere, non si perde tra le calli o a bordo di una gondola, no, lei getta uno sguardo preoccupato a un fenomeno inevitabile che promette di portare alla rovina questa perla unica. Si tratta dell’acqua alta, una situazione che fino a qualche decennio fa era riconducibile a eventi meteorologici, ma che è destinata ad aggravarsi a causa dell’innalzamento dei mari, effetto collaterale dei mutamenti climatici (che qualche ottuso ipocrita si ostina ancora oggi a negare), e non ci sarà nessun MOSE in grado di evitare la catastrofe.
Se vi fermate un attimo a osservare, potreste ricavare l’impressione che si tratta di una città senza vita, una splendida reliquia del passato dove regna l’acqua, un mare senza onde, comunque non meno ostinato nella sua opera di erosione. E non so se sia un caso, ma in veneto “mare” sta per “madre”, perché sorgendo da tale madre liquida Venezia ha visto la luce, e alla fine quella stessa la nasconderà per sempre alla vista dei suoi ingrati nipoti. 

 

Basta con questa malinconia, meglio alleggerire l’atmosfera con questa originale opera, un patchwork che fa mostra di un armonico disordine, quello che in fondo sta nella testa di ogni quilter che si rispetti.
Giuliana Morgante - Qualcosa di mio

Giuliana Morgante – Qualcosa di mio

 

Per non rischiare di sbagliare, riporto quanto descritto sul sito di Verona Tessile, poiché quest’opera che vedete qui sotto merita un’attenzione particolare.
“Esposizione di un grande telero dal titolo Il Mago di Oz – prodotto nell’ambito del progetto realizzato da Codess Sociale, grazie al co-finanziamento di MSD Crowdcaring – per un percorso verso l’integrazione sociale delle persone adulte con disabilità, attraverso la manualità, la creatività e l’apprendimento delle tecniche tessili, al fine di stimolare l’autostima, la motivazione, la dignità e l’autonomia.”
Ad Maiora - Cerris Verona - Cerris Marzana - Il Mago di Oz

Ad Maiora – Cerris Verona – Cerris Marzana – Il Mago di Oz

Il Mago di Oz - Detail

Il Mago di Oz – Detail

“I laboratori tessili-creativi sono stati realizzati in collaborazione con l’Associazione Ad Maiora, le cui volontarie hanno accompagnato le persone con disabilità in un percorso di scoperta e apprendimento. È stato scelto come tema la storia de Il Mago di Oz per rappresentare il parallelismo tra un mondo immaginario e fantastico e la ricerca della strada per tornare a casa. Il viaggio di Dorothy è, infatti, un viaggio evolutivo dove la protagonista vuole rientrare là dove si sente a proprio agio, ritornando alla propria rete sociale, al luogo da chiamare casa.”

 

Toh, chi si rivede!
Già in occasione di Verona Tessile 2019, mi era capitato di apprezzare una sua opera nella quale stigmatizzava la noncuranza con la quale noi accettiamo la morte in mare di centinaia di migranti, scandalizzandoci solamente per qualche attimo e solamente per quei pochi che il mare restituisce, mentre sui restanti scende un oblio che nega anche il conforto di un pianto.
Silvana Zenatello - Un battito d'ali

Silvana Zenatello – Un battito d’ali

Silvana Zenatello - Un battito d'ali - Detail

Silvana Zenatello – Un battito d’ali – Detail

Anche qui lei fa mostra di un’originalità fuori dal comune, mantenendo però il tratto caratteristico della spirale, sia essa di stoffa, di filo o di rete. Il bordo poi, insuperabile nel conferire leggerezza all’opera, tanto che ci si aspetterebbe di vederla alzarsi in volo con un battito d’ali.

 

Rutilante, questo l’aggettivo che mi viene in mente per l’opera futuristica di Mattea Jurin.
Immagino che sia andata a pescare i materiali seguendo il principio “più strano è, meglio è”, andando poi ad assemblarli col coraggio che suggerisce il titolo.
Mattea jurin - Brave new world-Cellular NanoRobots

Mattea jurin – Brave new world-Cellular NanoRobots

Mattea jurin - Brave new world-Cellular NanoRobots - Detail

Mattea jurin – Brave new world-Cellular NanoRobots – Detail

Forse quest’opera fa parte del nuovo coraggioso mondo dell’arte tessile, un mondo che rispecchia l’avanzamento della tecnologia e delle sue rìcadute su una società liquida. Quindi, basta con le foglie d’acero, basta con i voli di oche, basta con le capanne di tronchi, basta con i giardini, avanti con i nano robot, con i computer, con la quantistica, con le ragnatele di connessioni, e con tutto quello che mi sta lasciando sempre più indietro!
Suppongo che, in fin dei conti, sia giusto così.

 

Bello questo “Cyber Van Gogh”, bello per la sua parsimonia di colori. Se escludiamo quei circoli gialli sparsi qua e là, potrebbe persino essere definito un quilt monocromatico, nelle varie sfumature del blu, dal pervinca al blu di Prussia (purtoppo la fotografia non rende giustizia…). 
Laura Gamaleri - Cyber Van Gogh

Laura Gamaleri – Cyber Van Gogh

Laura Gamaleri - Cyber Van Gogh - Detail

Laura Gamaleri – Cyber Van Gogh – Detail

Bello dicevo, ma perché a me invece ricorda Matisse?

 

Sono molti (troppi) anni che non mi reco a Bassano del Grappa per la mostra organizzata dall’associazione Casa Patchwork & Quilting, l’ultima visita risale al 2016.
Comunque conservo il ricordo di bellissimi quilt tradizionali, e Giuliana Nicoli faceva sempre sfoggio una tecnica invidiabile. Capirete che, quando venni a sapere che ci sarebbe stata una mostra dedicata alle sue opere in seta, nessuno avrebbe potuto trattenermi dall’andare a Verona.
E ne è valsa la pena. 
Giuliana Nicoli - Vittoriano

Giuliana Nicoli – Vittoriano

Giuliana Nicoli - Vittoriano - Detail

Giuliana Nicoli – Vittoriano – Detail

Ho iniziato con questa sorta di ponte tra la tradizione e la modernità, ovvero un mix di crazy e dresden plate in salsa bassanese, il tutto condito con perfetto equilibrio cromatico, e vi prego di credermi che lavorare con i rossi è sempre rischioso.
Passiamo ora a un’opera che è una vera e propria dichiarazione di indipendenza da tutti i blocchi del patchwork tradizionale, dalle geometrie ricorsive, dagli accostamenti gradevoli, dai soliti materiali, dai motivi ammiccanti, dal facile consenso, per abbattere ogni consuetudine, sia di chi crea l’opera e sia di chi la contempla.
Si dice che l’artista chiude la sua epoca e apre la successiva, e in anche in questo Giuliana Nicoli si è dimostrata maestra.
Giuliana Nicoli - Reef #2

Giuliana Nicoli – Reef #2

Giuliana Nicoli - Reef #2 - Detail

Giuliana Nicoli – Reef #2 – Detail

E che dire di questo suo giardino minimo? In esso vi è l’essenza del patchwork, il recupero dei materiali, la loro disomogeneità, la contaminazione con elementi diversi, e infine l’abilità di farli stare assieme con ago e filo.
Giuliana Nicoli - The Garden

Giuliana Nicoli – The Garden

Giuliana Nicoli - The Garden - Detail

Giuliana Nicoli – The Garden – Detail

 

Concluderei questa mia carrellata con le immagini dell’esposizione più originale che ho visto a Verona, e per certi versi anche la più impressionante. Si tratta di qualcosa come quattrocento tessere quadrate di dieci centimetri, le quali sono state assemblate in fasce altre circa tre metri e mezzo. Si tratta di un’opera realizzata da quilter di tutta Europa per celebrare il 35° anniversario dell’Associazione svizzera patCHquilt.
Entrando nel grande locale collegato al Teatro FonderiAperta pareva di inoltrarsi in una foresta di stoffa.
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Round Bobbin

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Round Bobbin

Come dice il titolo di questa installazione, “Round Bobbin” è la bobina attorno alla quale viene avvolto ogni banner, altrimenti non si saprebbe come appenderlo e trasportarlo (e ce ne sono parecchi).

 

Bene, penso che anche questa volta ho fatto, almeno in parte, il mio dovere, ma, com s’usa dire in questi casi, è stato un piacere.
Altre immagini non inserite qui sono presenti nella mia galleria Flickr, e se magari mancasse qualcosa, vi rammento che non sono mai del tutto imparziale, nel senso che, bene o male, si palesano sempre le mie preferenze artistiche.
Sappiate comunque che Verona Tessile è tra le pochissime esposizioni patchwork in Italia in grado di offrire un panorama abbastanza vasto su tecniche diverse, quindi si può considerare “propedeutica” per chi ha intenzione di avvicinarsi all’arte tessile, e poi arrivarci non è nemmeno troppo complicato. Fateci un pensierino tra due anni.

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