Il titolo andrebbe letto in due maniere differenti, seppure non antitetiche.
“Istantanea” come sostantivo, ovvero una fotografia dello stato dell’arte di quanto mi sono dilettata a realizzare in questi anni. Si tratta di una piccola serie di opere che vanno dal 2005 fino al 2024. Purtroppo la più recente non l’ho potuta esporre, poiché il Carrefour Européen du Patchwork impone che le opere partecipanti al concorso “Avant-Garde!” siano svelate lì.
Ho utilizzato l’aggettivo “piccola” poiché ho esposto solamente quindici quilt, una sorta di antologia che rappresentava gran parte delle tecniche che padroneggio, opere selezionate da un critico d’arte che aveva esaminato tutta la mia produzione, la quale, in realtà, è ben più estesa.
E già che si parlava di aggettivi, definirla “istantanea” mi è parso corretto, in quanto si è trattato di un felice colpo di mano del mio webmaster / fotografo / agenzia turistica / sherpa / ecc. , che ha trovato la location, le date e le soluzioni espositive in un paio di settimane, all’inizio a mia totale insaputa, come del resto avevo già scritto nel post “Prima o poi doveva succedere…“.
Oltre a lui, mi si consenta di ringraziare ancora tre persone, Laura Lisi, la quale si è occupata della promozione, Andrea Benci, titolare di EdilArea, che mi ha concesso lo spazio espositivo, e Franco Rosso, artista e critico d’arte, nonché curatore delle attività del Centro iniziative culturali Z04 di Trieste. Oltre alla selezione preliminare dei quilt da esporre, egli ha vouto essere presente all’inaugurazione della mostra, spendendo una lusinghiera nota introduttiva che mi faccio vanto di riportare qui sotto.
“Rossana Ramani, triestina, artisticamente autodidatta, negli ultimi tre anni allieva dei corsi di incisione su rame tenuti da Flavio Girolomini, coltiva dal 1988 una passione per l’arte tessile e in particolare per la tecnica del patchwork, tramutatasi ben presto in una intensa attività di studio, di ricerca, di sperimentazione, di produzione ed esposizione. Ha quindi allestito Mostre personali o partecipato a Rassegne collettive del settore a Trieste, Isola d’Elba, Besançon, Capodistria, Grado, Birminghan, Parma, Bassano del Grappa, Val d’Argent, Verona.
Da alcuni anni il mondo dell’arte registra il crescente fenomeno delle donne-artiste che ricorrono ad ago e filo per farsi sentire, per manifestare opinioni, passioni e anche per riconoscere nel lavoro manuale una fonte di benessere fisico. Un “cucire creativo” che la Ramani propone in questa rassegna che ospita una quindicina dei suoi lavori, di medie e grandi dimensioni, patchwork rigorosamente confezionati con perizia ed estrema precisione, che hanno per soggetti sia simbologie culturali e tradizionali carsiche, ma anche visualizzazioni informali e astratte per dar voce a pulsioni emozionali.
Il gesto è più importante della parola, e Rossana Ramani lo conferma con questi suoi lavori dove il quilting diventa parola silenziosa capace di dialogare con il mondo in una sorta di recitazione con le mani. Conferma pure che il cucito è magia, e l’artista attraverso il suo autonomo linguaggio espressivo, svincolato sia dalla scuola anglosassone che da quella francese, si libera da retaggi leziosi e stucchevoli per declinare un messaggio destinato all’occhio e allo spirito. Perché cucire e ricucire con ago e filo i tasselli di stoffa colorata rappresenta anche una metafora contemporanea del riunire, del ricollegare, del cucire proprio le ferite dell’animo, rimettere insieme i pezzi di una vita o di una società divisa, frantumata, disorientata.
Rossana Ramani è una quilter nata, consapevole che attraverso la sua passione cambia qualcosa di se stessa e del suo modo di esprimersi e di rapportarsi con gli altri: attraverso le sue realizzazioni sposta in avanti la linea dell’orizzonte, recupera tecniche e temi antichi, esplora e incrocia esperienza e fantasia, assembla il conosciuto con l’improbabile, sempre a caccia di impreviste, sorprendenti e coinvolgenti contaminazioni.”
Può bastare, suppongo, anzi talvolta dubito che in quel testo si parli veramente di me.
Comunque, spero di aver solleticato la vostra curiosità, e allora direi che è arrivato il momento di mostrarvi le immagini di quanto era esposto.
Vero è che come location era molto originale e suggestiva, magari un filo impegnativa per riuscire a dare il giusto risalto a ogni opera, però ho potuto constatare che i quilt, una volta esposti, prendevano nuova vita, come se si fossero risvegliati dal lungo letargo nel quale erano rimasti confinati a casa mia, e pertanto non vedessero l’ora di fare bella mostra di sé.
Iniziamo, allora.
Apriva la mostra questo grande quilt intitolato “È un mondo difficile”, che nel 2013 ha ricevuto il 1° premio nella categoria Art Quilt del concorso “La quadratura del cerchio” organizzato a Parma da Italia Invita.

È un mondo difficile
Il messaggio è abbastanza chiaro, ossia la ricerca di una coesistenza armonica tra espansione tecnologica e ambiente naturale è impresa difficile molto difficile, un mondo difficile, e il più delle volte si assiste a un contrasto netto che dilania entrambe le due realtà, dove una natura sofferente per l’inquinamento e lo sconsiderato sfruttamento si vendica con un costante incremento di eventi climatici eccezionali e distruttivi.
Va detto che è stato anche difficile, molto difficile, un mondo difficile, realizzare questo quilt, a partire dalle dimensioni imposte dal concorso, 140 x 140cm, il che poteva creare non poche problemi a chi, come me, non dispone di una macchina Longarm, e poi ci sarebbero le complicazioni che mi sono creata io su questo lavoro Paper Piecing con Applique a mano: una fitta quiltatura Free Motion con filo nero su stoffa nera.
Mai più.
Di fronte a quell’opera un tantino inquietante, era esposto un vero e proprio patchwork tradizionale, quiltato a mano, sempre di dimensioni abbastanza generose.

Delo – Il Mediterraneo con i colori di Monet
Se la fattura segue le regole della tradizione, altrettanto non si può dire dei blocchi utilizzati, una mia idea.
Abbiamo tre forme geometriche sovrapposte, dei raggi diretti verso l’esterno, dei rombi concentrici e una greca che percorre tutta l’opera. L’intersecarsi di queste forme ha dato origine a 144 blocchi quadrati, i quali hanno la caratteristica di essere composti da due triangoli e due trapezi, e di essere tutti diversi fra loro, in quanto la greca “rompe” ogni eventuale simmetria cromatica.
Proseguirei con il patchwork che raffigura l’Eringio Ametistino, un fiore tipico del nostro Carso, e che ho preso a modello per il mio logo.
Si tratta di un fiore spinoso, poco appariscente, che si fa largo in terreni avari di tutto, e che si mostra a luglio in piccoli ciuffi.

Eringio Ametistino
Mi ci ritrovo un po’ in questo patchwork, per quel fiore il cui nome deriva dal greco erungion, che sarebbe il riccio, e per la tecnica utilizzata, crazy, ovvero pazza.
Restiamo in Carso, però con un’opera completamente diversa.
Anni fa pescai in una rivendita libri usati “Quaderno Carsico. Interpretazioni grafiche del Carso”, una bellissima raccolta di disegni realizzati da Nello Pacchietto. Erano raffigurate le caratteristiche case carsiche, molte delle quali oggi non esistono più, fagocitate da uno sviluppo urbanistico sordo a ogni tentativo di conservazione del tradizionale patrimonio edilizio che è firma delle popolazioni locali.

Antico Carso
Ai tempi quelle case vennero edificate tutte a mano, dallo sbozzo dei masegni per le fondamenta fino alle sottili piode, sempre in pietra, per il tetto, e sempre a mano veniva realizzato ogni accessorio e l’arredamento.
Il mio quilt è una sorta di omaggio a quei dimenticati costruttori, artefici di opere che hanno sfidato i secoli, e che potrebbero risultare ancora in piedi quando gli avveniristici edifici odierni in cemento armato saranno diventati polvere e ruggine. Lo è perché è un lavoro manuale al 100%, lo sono i disegni che ho copiato da quel libro, lo sono gli elementi in Applique, lo è la quiltatura, e lo è il Trapunto Fiorentino che riprende i motivi carsici.
Faceva sempre parte della tradizione di quelle terre la cassapanca nuziale, o per meglio dire la škrinja, dato che la lingua del posto era, e in parte ancora è, lo sloveno.
Quando una ragazza si sposava, il suo corredo veniva posto nella škrinja, che l’avrebbe accompagnata nella casa della sua nuova famiglia. Capitava che il marito fosse di un paese vicino, e allora quel prezioso oggetto sarebbe stato l’ultimo legame fisico che manteneva con il suo passato, perciò veniva decorato con i disegni tradizionali del suo paese di origine.
Dopo aver consultato molti libri e aver visitato dei musei etnografici, mi decisi a riprodurre con la stoffa quei disegni così antichi e così autentici.

Motivi cassapanche nuziali
Alla mostra ne ho esposti giusto tre, realizzati con tecniche differenti, sperando di suscitare la curiosità verso un aspetto della tradizione carsica che ormai è scomparso.
Altra casa, altro materiale, altra tecnica.
Ciò che state vedendo è la stessa casa vista in quattro stagioni differenti, uno scorcio minimo che però già non è più riconoscibile, in quanto il portone è cambiato e l’albero non c’è più.
Si tratta di pittura su stoffa da tapezzeria, con l’applicazione di garze di cotone e nastro di seta per il ricamo.

Le quattro stagioni
Sarà stato per l’emozione della mostra, sarà stato per l’ambientazione così atipica, sarà stato per problemi di memoria, ma quando l’ho rivista lì, appesa davanti alla parete in pietra, ho provato la sensazione di scoprire quest’opera per la prima volta.
Cosa si produce in Carso?
Vino, ovviamente.
Tra i bianchi predominano la Malvasia e la Vitovska, mentre tra i rossi spopola il Refosco, anche nella sua variante più agra denominata Terrano. Ovviamente ci sono anche altri vitigni, sia di origine francese e sia autoctoni, coma la Glera, ma nel primo caso sono guardati con sospetto dagli intenditori, mentre per il secondo si tratta di una produzione di nicchia.
Da noi non esiste il vino rosso, da noi esiste il vino nero, e ciò spiega il titolo dell’opera, in quanto si tratta delle uve dalle quali si ottengono il bianco e il nero.

Tutti i colori del bianco e del nero
La tecnica che ho utilizzato qui è molto particolare. In pratica ho raccattato qua e là dei frammenti di cotone, dei cascami, dei fili di cotone e di lana, assemblandoli grazie alle gelatine solubili e a una quiltatura Free Motion fitta fitta.
Et voilà.
Casomai non vi garbasse un bicchiere di vino, potrei sempre offrirvi una birra.
Questo pannello l’ho realizzato per mio figlio, per il suo trentesimo compleanno. Ci sono tutti i colori della birra, dalla schiuma alla chiara Lager, per passare a quelli più intensi delle IPA e poi alle Marzen, per finire con le Porter e le Stout.

A tutta birra
Le caratteristiche particolari di questo crazy luppolato sono la quiltatura che riporta alcuni tipi di birra, ma soprattutto la collezione di tappi corona che spiega subito di cosa stiamo parlando.
Nel 2011 (vado a memoria) vidi per la prima volta dal vivo una serie quasi completa delle principali opere di Maurits Cornelis Escher, e inutile dire che fu amore a prima vista.
Certo, qualcosa avevo già visto su internet, ma lì si riuscivano a distinguere tutti i dettagli che facevano di un complesso esercizio grafico un’impareggiabile opera d’arte.
Grazie al contributo tecnico del mio webmaster / fotografo / agenzia turistica / sherpa / ecc., trovai modo di costruire con la stoffa una figura impossibile.

Gli inganni della memoria (Omaggio a Escher)
La tecnica utilizzata è relativamente semplice, una cucitura all’inglese di elementi romboidali di cotone.
Per quanto riguarda il titolo, si tratta di un monito, quello di non fare sempre affidamento sulla vostra memoria, in quanto, talvolta, potrebbe trarvi in inganno.
Direi che giunge buona la gianografia n°54 - OCCHI CHIUSI – Molti di coloro che affermano “io ho visto” ricordano ciò che hanno immaginato di voler vedere.
Da un ricordo a un sogno il passo è breve, stanno tutti nella nostra testa.
Tempo fa, sfogliando distrattamente una rivista di viaggi, mi cadde l’occhio su una bella fotografia che raffigurava un mercato peruviano. Mi rimase abbastanza impressa, in quanto, ormai data per dispersa quella rivista, mi venne voglia di farla rivivere in una mia fantasia tessile.
La ragazza in primo piano sta dormendo, e noi siamo spettatori indiscreti del suo sogno. Forse stava tornando a casa dal mercato, e lungo la strada si è fermata per riposare un po’. Così rivive nel sogno quella giornata colma di emozioni, un caleidoscopio sinestetico che, ne sono certa, non può lasciare indifferenti.

Sogno
Anche questo lavoro è stato realizzato tutto a mano, con stoffe raccattate qua e là, scelte in base alla loro vivacità. Per la figura della ragazza mi sono aiutata con le matite acquerellabili.
Ma non tutti i sogni e i ricordi sono così rassicuranti.
“Le ultime lune” è un dramma teatrale scritto da Furio Bordon, e vi si narra la vicenda di un vecchio al quale è stato prospettato il ricovero in una casa di riposo.
I personaggi sono tre, come tre sono gli elementi verticali di questo patchwork, il vecchio, sua moglie, anzi, il fantasma della moglie defunta, e suo figlio, tre elementi distinti ma in qualche modo collegati, o perlomeno imprigionati nel ruolo che la vita ha scelto per loro.
Non starò qui a raccontarvi la trama, vi basti sapere che per lunghi tratti il vecchio richiama alla memoria alcune vicende della sua vita passata, e sogna di dialogare di nuovo con la moglie morta molti anni addietro, ma i ricordi cominciano a confondersi, a sfrangiarsi, a perdere consistenza, fino a quando troverà giusto rassegnarsi a un destino triste e umiliante.

Le ultime lune
Ho immaginato che quei Log Cabin rivisitati, posti in maniera così disordinata, avrebbero dato l’idea dell’incertezza e dell’instabilità della condizione umana, sia fisica che mentale, fino all’inevitabile sfacelo, e il supporto di organza rappresenta ciò che in fin dei conti ci lega tutti, anche se non sempre ne siamo consapevoli.
Per inciso, “Le ultime lune” fu l’ultimo spettacolo teatrale nel quale Marcello Mastroianni volle recitare nel 1996, prima di lasciarci orfani delle sua arte.
E della vita, anzi del cerchio della vita ci parla il prossimo patchwork.
Il soggetto è ricavato da una vecchia fotografia che, visti i personaggi, dovrebbe avere almeno una sessantina d’anni. È stata scattata sicuramente dalle mie parti, e avrei voluto saperne di più, ma per quanto io abbia chiesto in giro, non sono riuscita a sapere chi è l’autore, o chi sono le persone ritratte.

Il cerchio della vita
Qui mi sono dilettata col il Paper Piecing e con il ricamo a mano. Vi posso assicurare che realizzare quel prato è stato un lavoraccio, anche se devo dire che il risultato mi ha ripagato di tutto il tempo speso su ogni filo d’erba.
Sono e sarò sempre debitrice verso Rosalba Pepi, che a Castiglion Fiorentino mi ha iniziato all’arte del “Trapunto Fiorentino”.
Consentitemi qualche parola per chi non lo conoscesse. Si tratta di una tecnica antichissima nata in Sicilia, però diventata famosa grazie alle trapunte realizzate da ricamatori sicilianti per la famiglia fiorentina dei Guicciardini nel XIV secolo.
La differenza con il quilt sta nel processo di trapuntatura, ossia vengono in genere usati due fili di colore diverso. Il primo filo è del colore uguale a quello del top, e viene utilizzato per realizzare una filza che rende la superficie corrugata, come una pietra scolpita. Col secondo filo, di colore contrastante, vengono realizzati i contorni dei disegni. Infine si capovolge il tutto e, allargando leggermente la trama del backing, si infila, un pezzetto alla volta, un po’ di lana tra i due strati per ottenere l’imbottitura a rilievo.

Trapunto Fiorentino
Per il soggetto ho voluto riprodurre uno degli elementi dell’archivolto del portale maggiore della Pieve di Santa Maria Assunta in Arezzo, una serie di sculture policrome che compongono il “Ciclo dei mesi”.
Trattandosi di un elemento storico, non potevo esentarmi dal realizzarlo tutto a mano, Applique compresa, utilizzando canapa di cotone per gli elementi chiari.
Vi avevo già parlato delle gelatine solubili, e l’opera sottostante vi può dare un’idea delle opportunità espressive che questo materiale offre all’artista.
Qui ho lavorato un po’ a caso e un po’ a istinto, assemblando di tutto, seguendo un’ipotesi più che un progetto, aspettandomi di tutto, ma anche niente.
Vi confesso che ciò che apparve dall’acqua nella quale le gelatine si erano sciolte fu sorprendente, una sorta di quadro di arte contemporanea che suggeriva più che descrivere un ambiente marino.

In questo mare
Un grazie particolare alla tessitrice e Fiber Artist Marija Pudane, la quale mi ha fatto scoprire questa tecnica a metà tra il tessile e il pittorico.
E ora, per concludere in bellezza, vi propongo un’opera molto speciale per me, della quale vado molto orgogliosa.
Si tratta infatti di un soggetto che ho praticamente “sognato” per anni, riservandomi di realizzarlo quando mi sarei sentita abbastanza pronta per rischiare.
La miccia venne accesa dal concorso “L’opposition” che faceva parte del 25° Carrefour Européen du Patchwork nel 2019. Supposi che un combattimento tra galli fosse abbastanza rappresentativo di due soggetti in opposizione, ma rimaneva il dubbio se sarei riuscita a renderlo come volevo io, e soprattutto con la qualità richiesta da quel famoso concorso.
Uno alla volta quei dubbi vennero fugati, il primo quasi subito, poiché mi ritenni molto soddisfatta del risultato finale, e il secondo qualche mese dopo, quando mi pervenne la comunicazione che il mio patchwork era stato ammesso al concorso.

Checkmate
Il Checkmate è lo scacco matto, nel senso che, nel combattimento tra i galli, quello è il solo risultato prevedibile.
Anche qui ho fatto largo uso del Paper Piecing, e ho voluto realizzare in stoffa anche le penne che volano qua e là. Era inevitabile qualche tratto di quiltatura col filo rosso, testimone del sangue che in questi barbari combattimenti sempre viene versato.
Senza falsa modestia, qui ritengo di aver realizzato un’opera che dà le senzazioni del movimento caotico, del dramma e della violenza, il tutto per lo spasso degli scellerati che amano scommettere sulle vite altrui.
Ecco, io avrei finito, e ora lascio a voi ogni giudizio, ovvero se sono stata presuntuosa o, al contrario, se c’ho messo troppo prima di farmi notare, oppure ancora se questa mia è una Vox clamantis in deserto, nel senso che tutto questo lambiccarsi il cervello, mangiarsi gli occhi e spendere ore di vita è un esercizio futile, perché ormai tutto sta andando perso, il gusto per l’armonia, il senso estetico, il riconoscimento della manualità, il giusto valore del tempo, l’iniziativa originale, in favore di una Utilopoli globale nel quale contano solamente i guadagni e i consumi, l’orologio e le scadenze, l’apparenza e l’imitazione.
Ancora una cosa. Dato che la piattaforma sulla quale risiede il blog è piuttosto datata, a breve dovrò aggiornarla, e tale operazione potrebbe rendere irragiungibile il sito web per qualche tempo, però non so dire quanto, giacché ogni aggiornamento software è periglioso quanto un viaggio in caravella nel XV secolo, si sa quando si parte ma non si sa quando, o se, si arriva.
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