Birmingham è una strana città, incomprensibile (magari solamente per me), come lo sono molte altre metropoli moderne sorte sull’onda di un boom economico, e quindi non da esigenze di carattere storico o antropologico. Fatto sta che non ci vivrei, questo è certo.
Però una cosa bisogna ammetterla, il National Exhibition Centre (NEC) offre degli spazi espositivi insuperabili, sia per volumi che per praticità. Scesi dall’aereoplano o dal treno, occorrono solamente dieci minuti (a piedi e al coperto) per arrivare alla manifestazione in corso, e non so quante località possono vantare altrettanta comodità di accesso.
Grazie agli spazi generosi, il Festival of Quilts si può permettere di esporre circa 800 lavori in concorso e più di 20 gallerie di artisti vari, oltre naturalmente a una zona commerciale quasi altrettanto estesa. Perciò, anche se l’aereo mi stressa e il loro frenetico stile di vita mi angoscia, l’occasione di un “mordi e fuggi” a Birmingham per ammirare una tale abbondanza di quilt è troppo ghiotta per rinunciarvi e vale il sacrificio. Vuol dire che mi consolerò con una pinta di Smithwick’s in un posticino che conosco.
Eccovi allora un breve resoconto della mia strafexpedition in quel di Birmingham. Due sole cose: cliccando su una immagine questa viene visualizzata su Flickr, più grande e più dettagliata, e poi non ho inserito nel blog tutte le fotografie che ho scattato alla mostra, però le altre le trovate (quelle che ho scattato, non tutta la mostra, è ovvio) sempre sul mio spazio Flickr.
Come sempre, vale una premessa fondamentale: pur cercando di offrire un resoconto il più possibile rappresentativo, è naturale essere influenzati dal proprio gusto personale, perciò è altamente probabile che le opere fotografate e i commenti relativi non incontrino il favore generale. Di ciò mi scuso in anticipo e posso solamente suggerire di cercare in rete altri siti in grado di offrire una panoramica più estesa dei lavori esposti. In alternativa c’è sempre la soluzione perfetta, quella di andare il prossimo anno a Birmingham per verificare di persona come ci si possa veramente “perdere” in mezzo a tanta abbondanza, e anzi suggerisco di riservare 2 giorni per vedere, con sufficiente attenzione, tutto il Festival of Quilts.
Venerdi 9 agosto 2013, ore 9 e 45′. Rapida scorsa alla check-list prima di entrare.
- Scarpe comode: OK
- Borsa capace: OK
- Occhiali: OK
- Biglietti: OK
- Macchina fotografica: OK
- Flash: OK
- Batterie di riserva: OK
- Mappa della mostra: OK
- Curiosità: OK
Sono le 10 e 00. Si va.
Sul mio Casio di plastica sono esattamente le 10 e 13 quando passo davanti a questo originalissimo cucù. Immagino che oggi, nel Regno Unito, questo orologio realizzato da Sally Snusshall sia il più fotografato dopo il BigBen.
La prima è di ordine pratico in quanto i lavori premiati sono stati collocati in testa alle corsie espositive, nel punto meno luminoso e più trafficato possibile. Per giunta c’è poco spazio tra l’opera esposta e la parete alle mie spalle, per cui fotografare un lavoro grande è estremamente difficoltoso se non impossibile.
Il secondo aspetto che mi frena è una certa perplessità sul metro di giudizio utilizzato per la valutazione. In più di qualche caso mi è capitato di osservare delle opere premiate che dal punto di vista artistico non mi comunicavano un granché. Si vede che il giudizio ufficiale verte più sugli aspetti tecnici delle opere.
Kumyko Frydl ha meritatamente vinto nella categoria “Miniature“. Il suo quilt “Rose of Versailles” è stupefacente. Quella che vedete nella fotografia è una mano per la quale i guanti taglia “S” stanno grandi.
La categoria “Art” è stata vinta da Jill Exell con questo volo di oche canadesi, “Flight”, appunto.
Nella categoria “Contemporary” con questa festa di esagoni intitolata “Celebration 2″, Tuula Makinen si è aggiudicata il primo premio. Gli esagoni centrali sono vuoti, puntati su un supporto di organza. Sono stati utilizzati anche seta, lino, viscosa, broccato, lurex e raso.
C’era anche la categoria per principianti, ovvero “My First Quilt“. Qui Victoria Plum ha vinto riportando su stoffa “My Husband’s Hobbies”. Adesso toccherà a lui comporre una canzone intitolata “My Wife’s Hobby”!Due persone, due modi di immaginare un’opera, due livelli di abilità, due sensibilità differenti, due visioni del colore. In questo “Dunes Duet” di Linzi Upton e Ann Long, vincitrici della categoria “Two Persons“, ci sono solamente due forme geometriche, il quadrato e il cerchio. Chi è l’una e chi è l’altra?
Bellissima quest’opera di Fusako Takido, “Garden of Dream”, è proprio “da sogno”. Molto probabilmente avrebbe anche vinto un premio se non avesse già ricevuto un ampio riconoscimento a Houston nel 2009.
Quasi altrettanto bello è questo giardino di Tomoko Arai intitolato “Lovely Garden”.
Il titolo di questa coloratissima opera di Alison Robins e Krista Withers dice tutto. “Never again”, mai più, forse perché è stata veramente una faticaccia, o perché sarà impossibile che si ripetano queste combinazioni di colore.
Mi piace questo quilt di Linda Forey. Sarà per l’accostamento cromatico indovinato, sarà per il fatto che è geometrico ma libero al tempo stesso, o magari sarà perché dà l’impressione di essere una finestra aperta su qualcosa di molto più grande dell’osservatore.
È più che evidente il fatto che Sandra Grusd di pittura se ne intende. Infatti “Retrò” manifesta un forte richiamo verso stili pittorici di qualche decennio fa. I colori utilizzati, decisi, vivi, invece hanno la spontaneità selvaggia e istintiva delle vesti tribali.
Da Taiwan ecco “Growing Continually II” di Huei-Lan Chuang, un modo molto personale di intendere la natura e di rappresentarla mediante un patchwork.
“The Rookery”, di Mary Mayne ci riporta a una natura più familiare, almeno per chi abita un po’ fuori città…
Però è bello.
Ed ora due piccoli gioielli della categoria “Miniature”.
Si va da un freddo paesaggio innevato nel Devon di Penny Armitage, …
A dimostrazione di ciò, ecco alcuni splenditi pannelli provenienti dall’Emisfero Australe. Sono, partendo da sinistra, “Isolation” di Anne Jolly, “Not Just Another Pebble on the Beach” di Hazel Ryder, e “Breaking Waves II” di Kate Dowty.
Poesia grafica per questo “Estuary Garden” di Chloe Redfern, piastrelle di tessuto a comporre un’immagine onirica.
Sonia Bardella capita spesso da queste parti. Quest’anno ha portato “Homage to Antonio Lopez”, ispirandosi a una fotografia scattata a Saint Tropez nel 1970 (sembrano secoli fa…)
Il posto di chiama “Al Frash“, che significa appunto farfalla, e si trova al 186 Ladypool Road. Non ha nulla di finto etnico, di pacchiano, di teatrale come capita spesso per questa tipologia di locali, anzi, l’ultima volta mi è capitato di passarci e ripassarci davanti senza trovarlo, tant’è modesto nell’aspetto. Ma la cucina è tutt’altro che modesta, è superlativa, a patto di affidarsi alla sapiente guida del vostro Virgilio in vesti di cameriere.