Dieci,
è un bel numero,
ma non è il numero perfetto.
Un detto comune afferma che il numero perfetto è il tre.
Per i matematici i numeri perfetti sono il sei, il ventotto, il quattrocentonovantasei, e preferisco fermarmi qua.
Secondo me il numero perfetto è “sempre”.
Perché mi sento di augurare alle quilter di Spinea di conservare “sempre” lo stesso entusiasmo che le ha accompagnate in questi dieci anni di attività.
Spinea è un piccolo paese vicino a Venezia, ed è quasi un miracolo che questo ridotto angolo del Veneto possieda una tale concentrazione di artiste tessili, ben quindici, “Quindici fili d’oro“, o trenta mani d’oro, non saprei, ma con tutte le migliori intenzioni di crescere, in abilità e in quantità.
La sede della mostra è, come non di rado accade, sottodimensionata, quasi incongrua, ed è un peccato.
Se è vero che spesso si va a “fare le pulci” ai lavori, valutandone la densità di quiltatura e la precisione dell’assemblaggio, è altrettanto vero che l’effetto finale, cromatico e compositivo, si può apprezzare solamente allontanandosi di qualche passo. Perché domani, entrando nella stanza, noteremo subito quel pannello appeso sulla parete in fondo, e ne apprezzeremo l’effetto, emotivamente, non tecnicamente, come fosse un quadro impressionista, magari impreciso nei dettagli, ma potente nel messaggio.
Non solo di stoffa e di filo è fatto un quilt; la scelta del soggetto talvolta è interessante quanto la sua rappresentazione.
Come Ligabue vide nei pioppeti sugli argini del Po in quel di Gualtieri una foresta popolata di leoni, tigri e altri animali selvaggi ed esotici, così a Spinea, a poca distanza dalla brumosa laguna, qualche quilter sogna il caldo torrido e secco della savana.
In pianura capita di cercare con lo sguardo un confine all’orizzonte, ma esso sfugge a chi lo insegue. Le montagne, per quanto aspre possano talvolta apparire, sono comunque un termine di paragone, una barriera o una porta, coerenti e costanti, quasi rassicuranti.
Una notte di luna piena, l’algida luce che si riflette sulla candida coltre, le fitte schiere di scurissimi abeti, l’aria limpida come se non ci fosse, sono sensazioni che solo un’artista può cercare di trasmettere.
E se in un faggeto d’altura si incontra un elegante coleottero come questa Rosalia Alpina, è difficile resistere al suo fascino.
C’è chi magari vorrebbe partire, tratteggiando lidi lontani, sognati o sospirati, fino nel paese del Sol Levante,…
… oppure al cospetto di antichissime raffigurazioni mesoamericane.
“Ho attraversato terre lontane, ho navigato per tutti gli oceani, e ho trovato davanti all’uscio di casa il fiore che avevo cercato per tutto quel tempo.” (detto indiano). Così i soggetti quotidiani più comuni, come foglie, fiori, alberi e tutto ciò che riconosciamo come “natura”, si offrono alla nostra ispirazione.
La geometria non è più vista come un limite, una costrizione dimensionale, pero, grazie al colore, come opportunità compositiva, perché la matematica e l’arte non sono mai state nemiche.
Si dice che una quilter degna di questo nome dovrebbe sempre avere accanto a sé un gatto. Sarà per questa ragione che egli non manca mai di fare la sua comparsa tra le pezze.
La voglia di sperimentare non manca. Una tecnica antica e relativamente semplice come il giardino della nonna, se applicata a un esercizio cromatico e assemblata in maniera inusuale dentro una cornice, può prendere un aspetto nuovo, divertente, ardito: un giardino pensile.
Chi non si contenta di mangiarsi gli occhi con ago e filo, ha pensato bene di mettere a dura prova la pazienza, la mano ferma e la vista per realizzare l’ideale stanza da lavoro di una quilter lillipuzuiana…
… ovviamente completa di tutti gli strumenti del mestiere.
E poi non venite a lamentarvi se ci prendono per pazze.
Ecco, io ho finito, adesso spetta alle artiste di Spinea di darsi da fare.
Il prossimo anno tornerò a trovarle, e sono abbastanza fiduciosa sul fatto che non deluderanno le aspettative, soprattutto se riusciranno a farsi valere, a ottenere i riconoscimenti che meritano e, di conseguenza, una sede adeguata in grado di valorizzare le loro opere.
Piccolo è bello, dicono, ma anche una bella coperta matrimoniale stile Amish, un arazzo decorativo, un banner poliedrico, farebbero loro bella figura se trovassero spazio e respiro per distendersi.
Perché è da un po’ che la voglia e la capacità di plasmare cose belle stanno diventando merci rare; omologazione e profitto sono le attuali parole d’ordine. Sarebbe un peccato che questa fertile isola di creatività avesse inaridite le sue fonti e dovesse sparire nelle nebbie dell’indifferenza, per finire sommersa dalla crescente marea di comoda mediocrità.
Care ragazze, andate avanti così che andate bene, e ricordate a tutti che le mani ci sono state date per fare e non solamente per prendere.