Domenica bestiale – Seconda parte

Puntata precedente: DOMENICA BESTIALE – PRIMA PARTE

Dove eravamo? Ah sì, alla stazione ferroviaria di Bassano del Grappa, in partenza per Treviso Centrale, cambio a Castelfranco Veneto, giusto in tempo tempo per fare i biglietti e salire sul piccolo Minuetto Diesel.

A Treviso ci aspetta l’annuale appuntamento con la mostra realizzata a Ca’ da Noal da Patchwork Idea.

Eccoci arrivati… e insiste a non piovere.

Ormai la strada la conosco a memoria, tanto che arriviamo in anticipo sull’orario di apertura. Che strano…, sarebbe domenica, ma tutti i negozi sono aperti, alle due e mezza del pomeriggio poi! Mah.

Ecco la familiare sagoma rossastra del grande palazzo del XV secolo, con i suoi caratteristici archi a sesto acuto in stile tardogotico veneziano. E a Venezia mi riporta anche il portone principale, in pietra d’Istria, la stessa usata per gli gli eleganti palazzi e i durevoli ponti della Serenissima capitale.
Dietro alla porta a vetri c’è già molta gente, buon segno. Infatti non c’è niente di più deprimente in una mostra spopolata come un villaggio fantasma, ah sì, forse c’è qualcosa di peggio, una brutta mostra, ma qua a Treviso non si corre questo pericolo.

Vi svelo un segreto: una parte del divertimento durante queste visite è costituito dai commenti di chi si trova per la prima volta di fronte a un quilt. I commenti spaziano dalla pura ammirazione all’incredulità, dallo stupore della scoperta al dubbio che sia veramente stoffa tagliata, cucita, trapuntata, e non semplicemente dipinta; da come e cosa guarda, si intuisce immediatamente il grado di competenza di chi sta osservando una di queste opere tessili, che magari potrà non essere una lucida competenza tecnica, ma anche e soprattutto la capacità di arrivare al cuore dell’opera, la componente artistica.

Allora, a questo punto lascio a voi il compito di giudicare alcune delle opere presenti alla mostra. Come sempre, le immagini che seguono (cliccare sull’immagine per ingrandirla) rappresentano solamente una parte di quanto presente alla mostra. Magari i lavori fotografati non saranno i migliori, magari farò torto a qualche quilter, e di ciò chiedo venia fin d’ora. Però, come sempre, tengo a precisare che questi post non sono un mero resoconto giornalistico, oppure un’asciutta galleria di immagini, bensì un invito ad andar per mostre, perché nessuna fotografia e nessun commento possono rendere giustizia a un’opera quanto una visione “dal vivo”.

Detto questo, parliamo del tema della mostra.

Nella passata edizione, intitolata “Quilts in scena“, si era cercato un abbinamento tra un’opera teatrale e l’opera tessile. Quest’anno invece Patchwork Idea propone un “Concerto di colori“, ovvero la trasposizione su stoffa di emozioni, memorie e fantasie suggerite da un motivo musicale caro all’artista.
Chissà cosa si inventeranno per la prossima volta, forse il cinema, la poesia, la geografia… staremo a vedere.

Dato che ogni patchwork possiede, almeno nelle intenzioni dell’artista, un collegamento ideale con la musica, ho pensato di riportare, sotto a ogni immagine, la possibilità di ascoltare il pezzo musicale di riferimento, per meglio comprendere l’opera, e per far scoprire, o riscoprire, dei motivi che hanno evidentemente lasciato il segno nell’animo dell’artista.

Nel 1951 questa canzone vinceva il Festival di Sanremo. Era una manifestazione ancora, per così dire, alla buona: i cantanti si esibivano in una sala con tanto di tavolini, col pubblico che beveva e chiacchierava come se fosse a un caffè concerto. Parteciparono solamente tre interpreti (due cantanti e un duetto) che portarono circa una ventina di canzoni a testa.
Nonostante l’esiguità dei partecipanti, una certa dose di improvvisazione, il sistema di voto rudimentale, e la copertura esclusivamente radiofonica (la televisione sarebbe partita solo nel ’54), questo pezzo riscosse un successo tanto clamoroso quanto inaspettato, vendendo la bellezza, per l’epoca, di ben 36.000 dischi (ovviamente 78giri).

Di Antonella Cibin e Nilla Pizzi – “Grazie dei fior

Pressapoco in quegli anni circolava nelle sale italiane un film che aveva già ricevuto, nel 1939, un enorme successo di pubblico negli Stati Uniti.
Si tratta di una pellicola tratta da un libro di Frank Baum, ed è spesso accostata, per importanza nella storia del cinema, per l’impatto dello spettacolare Technicolor, per la ricchezza degli effetti, a un altro film altrettanto celebre uscito nello stesso anno, “Via col vento”, nel quale recitavano alcuni attori già affermati (un nome per tutti, Clark Gable)
Invece in questo film,
per ovvi motivi di plot, il ruolo di protagonista venne affidato a una giovane attrice non ancora famosissima, la diciassettenne Frances Ethel Gumm, in arte Judy Garland, la quale fece innamorare tutto il pubblico dagli 8 agli 80 anni cantando “Over the Rainbow”. Beh, ormai l’avrete capito, il film è “Il Mago di Oz”.

È forse possibile che chi ha realizzato questo patchwork si rammarichi che, per quanti sforzi si faccia, è impossibile volare oltre l’arcobaleno per realizzare i sogni che si osa sognare, e che, al contrario, capiti sempre sempre lottare con problemi che non si sciolgono come gocce di limone.

Di Antonella Pizzolato e Judy Garland – “Over the Rainbow

 

Se ne “Il Mago di Oz” il desiderio più grande della giovanissima Dorothy Gale (Judy Garland) era quello di tornare nel suo Kansas, perché lo trovava molto più bello di quel posto da favola dov’era capitata, un altro artista, molto più avanti negli anni, trova il nostro mondo addirittura “meraviglioso”. Si tratta di Satchmo, il quale, quasi settantenne, in un mondo che andava a rotoli e stretto nella morsa della guerra fredda, trovò giusto, quasi doveroso, stupirsi della bellezza che ci circonda e che facciamo finta di non vedere, ricordandoci che il mondo è meraviglioso, e con esso, la vita, tutta.

Di Franca Berto Massimo e Louis Armstrong – “What a Wonderful World

 

Ma ‘ndo vai
se la banana non ce l’hai?
bella Hawaiana
attaccate a sta banana
… ‘ndo vai?
se la banana non ce l’hai
vieni con me
te la faro’ vede’…

Così Mimmo Adami e Dea Dani cantano nel film “Polvere di stelle”. È la storia di una scalcinata compagnia di avanspettacolo che trova la sua effimera fortuna nell’arrivo delle truppe americane di stanza a Bari durante la guerra. Tutti i sogni di gloria e di ricchezza sono però destinati a finire in polvere con la partenza delle truppe alleate, la polvere di locali sempre più miserevoli, la polvere delle stelle che mai diventeranno, e la polvere del sogno di raggiungere le stelle della bandiera americana.

Di Maria Luisa Fragiacomo e Alberto Sordi – “Ma ‘ndo Hawaii

 

Sergio Endrigo è noto per le sue belle canzoni, generalmente allegre come i crisantemi a Novembre. Anche la sua espressione, sempre con quel taglio amareggiato, contribuiva non poco a dare l’impressione di uno che ti deve dare una brutta notizia. Si badi bene che la qualità artistica dei suoi testi era, non uno, ma dieci livelli sopra quello disperante delle canzonette sceme che andavano in voga negli anni ’60, erano poesia pura, bella, e triste, come quella di Leopardi.
Però, intorno al 1972, inizia a cantare canzoni per bambini, e fu inevitabile l’incontro con gli scritti di Gianni Rodari, dai quali ricaverà una canzone che ancora oggi, e forse oggi più che mai, mantiene inalterato il valore del suo messaggio.
Di Clara Maria Pignat e Sergio Endrigo – “Ci vuole un fiore

 

E già che s’è parlato di Sergio Endrigo, si poteva non citare un altro famoso musicista-poeta con il quale Endrigo ha collaborato? Ovviamente no.
In genere si associa la musica brasiliana alla samba, all’allegria, e questo è, almeno in parte, corretto. In parte, ho precisato, perché, come nei dolci biscotti ci vuole un pizzico di mandorle amare, così nella canzone brasileira c’è sempre un tarlo malinconico che scava sotto la superficie brillante. Ricordate il testo della canzone “La banda”? Nella versione italiana, quella cantata da Mina, la banda spazza via tutte le tristezze, ma nella versione originale, quella di Buarque De Hollanda, la banda porta sì un soffio d’allegria, ma poi, passata la banda, tutto ritorna com’è.
Nel 1969, Sergio Endrigo incontra Toquinho, il quale diventa famoso anche in Italia con l’album “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, dove collaborano anche Vinicius de Moraes e Giuseppe Ungaretti, e scusate se è poco.
Come in quella di Endrigo, anche nella canzone “Acquarello” (Uma rosa en minha maõ), ci si rivolge a un pubblico di giovanissimi, ma solo apparentemente, perchè Toquinho parla a nuora perché suocera intenda, ovvero noi.

Di Monica D’angelo e Toquinho – “Acquarello

 

La prima volta che ho avuto l’occasione di ascoltare Paolo Conte non capivo se era stonato, se era senza fiato, magari un po’ bevuto, ma poi ho capito che la sua voce è puro jazz, con le mezze note che non esistono negli spartiti del conservatorio, ma che il nostro animo conosce fin troppo bene.
Se pensate che Paolo Conte sia solamente un cantante, vi sbagliate di grosso. Egli è, in primis, un cantautore, poi è anche: autore, paroliere, polistrumentista (piano, trombone, vibrafono, kazoo…), scrittore e pittore. Da “Azzurro” in poi, c’è stato lo zampino di Paolo Conte in molti dei pezzi italiani di maggior successo, un Mazzarino della canzone, fino al 1974, quando decise finalmente di salire in superficie e di farsi conoscere dal grande pubblico. Da lì in poi, sarà tutta un’altra musica.

Di Ilaria Garbati e Paolo Conte – “Onda su onda

Lucio Battisti non ha bisogno di presentazioni, e sia che lo si ami o che lo si odi, con le sue canzoni (e i testi di Mogol) bisogna fare i conti.
All’inizio della sua carriera ci furono notevoli perplessità sulle sue qualità di cantante, e lui stesso era abbastanza scettico. Fu solamente il fiuto di Mogol, persuaso di aver finalmente trovato una voce “diversa” per i suoi testi senza rime baciate, a insistere perché cantasse da sé i suoi pezzi. La storia gli diede ampiamente ragione, fin troppo forse, perché si arrivò a dire che, dopo suo il divorzio artistico da Mogol, Lucio Battisti aveva perso la sua musa.
“Nel cuore, nell’anima” fa parte di quelle prime canzoni che Lucio Battisti, ancora indeciso sul da farsi, preferiva cedere ad altri artisti, in questo caso L’Equipe 84.

Di Mariangela Marangon e Lucio Battisti – “Nel cuore, nell’anima

 

Da un monumento a un altro.
Innumerevoli sono i fan del Blasco, e ancor più vasto è lo spettro temporale che li copre. Non è raro vedere ai concerti ben tre generazioni di spettatori elettrizzati che impazziscono per la sua voce ruvida e per il suo sound aggressivo e melodico allo stesso tempo. Il suo successo senza tempo dipende forse dall’aura di artista maledetto che si è formata (costruita?) a causa di alcuni eccessi (a volte leggendari). Le sue dichiarazioni messe in musica, come quella di volere “una vita spericolata”, al massimo delle possibilità umane, diventarono ben presto l’inno di un’intera generazione, chiusa in sé stessa, non incerta, ma addirittura indifferente del suo futuro, “generazione di sconvolti che non han più’ santi né eroi”. Troppo forti i richiami a Steve McQueen, a Keruac, a Bukowski, a Vicious, per lasciare indifferenti tutti i delusi dalla piega commerciale che aveva preso il rock. E pazienza se, dopo qualche anno, molti di questi “spericolati” cominceranno a indossare la cravatta, a portare in villeggiatura la famiglia con la station wagon, a pagare le rate per un’assicurazione sulla vita. Per qualche anno saranno stati falene, e forse qualcuna si sarà bruciata, giustificando il loro mito.
Già nel 1969 Jimi Hendrix, dal palco di Woodstock, dopo aver suonato una dissacrante The Star Spangled Banner, apostrofava i 200.000 presenti affermando che, dopo tre giorni di pace, amore e rivoluzione, sarebbero tutti tornati indietro, aspettandosi di trovare, come ogni mattina, sulla porta di casa il latte e il giornale, e che allora tutto quel casino in fondo non era servito a niente.
Vasco Rossi però ha riempito un vuoto, l’ha riempito con le sue canzoni tenere come il bicipite di un pugile, e le ha regalate a un pubblico che aveva ancora voglia di sognare una vita diversa dal grigiore del solito trantran.

Di Ivetta Guerra Zambon e Vasco Rossi – “Alba chiara

 

Confesso di non sapere molto di Alessandra Amoroso, non molto di più di quello che ho recuperato su Wikipedia e del filmato di YouTube.
Che volete farci, già la televisione mi è abbastanza distante, e trasmissioni popolarissime come X Factor e Amici fanno parte, per me, di un altro universo.
Non me ne voglia Antonella, non si può conoscere tutto, specialmente in questo panorama musicale italiano così gravido di nuove promesse che l’industria discografica si preoccupa di spremere e bruciare quanto prima.

Di Antonella Mattarucco e Alessandra Amoroso – “Un fiore dal niente

 

 

Chi invece le promesse le ha mantenute tutte è Giorgia.
Tre ottave e mezzo, questa è la sua estensione vocale, il che le permette di avere una voce black, come quella di Billie Holiday, ma anche brillante, come quella della prima Diana Ross. Una vera sfortuna per lei non essere nata negli USA.
Anche lei, come Paolo Conte, è stata sempre in bilico tra la canzone e il jazz, tra la melodia e lo swing, tra lo spartito e l’anima, alternando coraggiose (e redditizie) apparizioni in quel di Sanremo, con progetti cinematografici (di successo), per arrivare fino a cimentarsi con la musica di Gershwin.
Volete sapere chi ha cantato con Giorgia ? (elenco incompleto)
Mina, Ray Charles, Lionel Richie, Ornella Vanoni, Herbie Hancock, Pino Daniele, Elio e le Storie Tese, Eros Ramazzotti… va bene, va bene, può bastare…

Di Roberta Pasqualato e Giorgia – “Di sole e d’azzurro

 

L’aurora“, vabbe’, ma di chi?
Ci sarebbe “L’aurora” di Eros Ramazzotti,
Io non so se mai si avvererà
uno di quei sogni che uno fa
come questo che
non riesco a togliere dal cuore
da quando c’è…
L’aurora di Eros Ramazzotti

Motivi anagrafici e gusto musicale mi spingerebbero a preferire “L’aurora” delle Orme
Sola nessun amore tanti amori
Sola nessun cuore tanti cuori
Ora che c’è qualcuno accanto a te
Piangi il mio passato insieme a me

L’aurora delle Orme

Però… però… più guardo questo lavoro (di notevole effetto) e più mi torna alla mente un’altra melodia (di notevole effetto) sull’aurora, e precisamente “Mattinata”, la celebre romanza di Leoncavallo, la quale ben si sposa con il tema e i colori.
L’aurora di bianco vestita
Già l’uscio dischiude al gran sol;
Di già con le rosee sue dita
Carezza de’ fiori lo stuol!

Bene ascoltateveli tutti e tre, quindi aggiungete idealmente nello spazio vuoto il nome che preferite. Se poi Emy mi saprà dire qual’è dei tre quello giusto, provvederemo ad aggiustare il post.

Di Emy Ramanzini e … – “L’aurora

 

Oltre ai lavori delle quilter di Treviso e dintorni, erano esposti anche alcune pregevoli (e disperanti per l’inarrivabilità) opere provenienti dalla collezione privata del Carrefour Européen du Patchwork.
Ve ne propongo due, non per la bellezza, perché ardua e velleitaria sarebbe stata la scelta, ma per l’originalità del soggetto e dei materiali impiegati.

Ecco “NIGERIA” di Hilde van Schaardenburg. Verde, bianco, verde, nient’altro, perché nient’altro serviva.

Nei dieci minuti buoni durante i quali ho ammirato questo lavoro (capo-lavoro), ho constatato che generalmente il tutto veniva visto come un albero stilizzato con le sue radici, mentre, ahimè, si tratta del delta del fiume Niger.

Trencadís” è la tecnica che permette di decorare una superficie con frammenti irregolari di ceramica o vetro colorato. È quella utilizzata da Viktor Navorski (Tom Hanks) per comporre il mosaico nel film “The Terminal”, oppure, se siete di passaggio a Barcelona, la potrete ammirare nelle stupende decorazioni di Gaudí.
Come dicevo all’inizio, vedere le cose dal vivo è tutt’altra cosa che vederle in fotografia, anche a tutta pagina. “Trencadissa” è un’opera che è già passata nelle riviste specializzate, ma solamente arrivandoci a pochi centimetri di distanza ci si può accorgere che il materiale impiegato sono dei frammenti di comunissimi quanto inusuali gusci d’uovo!

Olga Gonzales – “TRENCADISSA

Questa selezione di lavori provenienti da tutta Europa, come pure quelle di altre esposizioni simili, dovrebbe far riflettere sulla distanza (siderale) che ancora ci separa da certi livelli di creatività, e come ho scritto nel post precedente, dispero che questa distanza possa essere colmata tanto presto. Non che da noi manchino delle brave quilter, ce ne sono, e questa mostra di Treviso ne è la riprova, ciò che invece scarseggia è talvolta la volontà di rischiare, di rompere il muro del gradevole per sondare nuovi universi espressivi. Perché un’opera d’arte, per essere tale, deve porre dei quesiti, non deve essere immediatamente chiara, comprensibile, accondiscendente. Certo, il percorso sarà lungo e accidentato, irto di rovi e di pericoli, e il punto d’arrivo è ancora ignoto, potrebbe restare ignoto a lungo, e perfino nemmeno esistere, ma il bello sta tutto qui, nell’apparente insensatezza dell’arte per l’arte, che è invece l’unica cosa che abbia un senso inalienabile in questo mondo di apparenze mutevoli e ingannatorie.

gut. Visto tutto, fotografie fatte, note prese, impressioni registrate. Si può andare.
Non c’è che dire, anche quest’anno Patchwork Idea ha realizzato una mostra all’altezza delle aspettative. La soddisfazione vale la fatica (ma neppure troppa) del viaggio, e di sicuro resta inalterata la mia invidia (bonaria) per la loro abilità e le capacità organizzative.

Non mi resta altro che salutarle, e, per restare in tema della loro mostra e di questo articolo, le lascio con una canzone, questa volta a mia scelta

Di Fabio Concato – “Domenica bestiale

 

Complimenti, e arrivederci al 2014!

Usciamo.

Toh, ecco spiegato il motivo di tanto movimento di gente e dei negozi aperti di domenica: c’è il mercatino di Natale, e che mercatino! Sarà, a occhio e croce, un chilometro e mezzo di bancarelle; inevitabile passarci almeno un’oretta sbirciando tra gingilli, cappelli, salumi, giocattoli, magliette, e chincaglieria varia, per trovare qualcosa di veramente originale.

 

 

 

E avanza pure il tempo di fare una “toccata e fuga” a Venezia, invece di cambiare treno in quell’inospitale stazione ferroviaria di Mestre, giusto il tempo di scendere a S. Lucia, prendere per Rio Terà Lista di Spagna, arrivare fino in Campo San Geremia, e lì gustarsi una pinta di Kilkenny, e poi via, a casa, stanchezza nelle gambe, dolore alla schiena, sonno sulle palpebre, soddisfazione nello spirito, tutti gli effetti irrinunciabili di una domenica veramente bestiale.
Non seguitemi, se ci tenete alla salute.
ByeBye

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