Perché c’è lei

Appena l’ho saputo ho infilato nel lettore CD il Concerto N°3 per violino e orchestra di Čajkovskij (quello del film “Il concerto”, per intenderci), e ho iniziato a scrivere questo post.

Perché proprio quelle note? Non per uno ma per tre motivi: l’origine, la difficoltà e il colore. Per chi sa un po’ di musica e di patchwork questi dovrebbero essere tre indizi interessanti.

L’origine, indiscutibilmente russa.

Čajkovskij è il compositore meno russo dell’epoca, tanto che talvolta il suo nome è stato parzialmente germanizzato in Tchaikovsky, ed è sempre stato critico verso il Gruppo dei Cinque, i compositori suoi contemporanei che propugnavano la tradizione musicale russa innanzi tutto.
Eppure l’orchestra attacca con un Hopak, un motivo popolare ucraino con reminiscenze cosacche, mentre il violino risponde con una melodia tratta da una canzone tradizionale russa, quasi a far gara tra loro.
Bene, penso sia chiaro che si tratta di una russa.

Dal sito Web di Irina Vorinina

 

La difficoltà, da far tremare le vene dei polsi.

Per molto tempo questo concerto fu “scansato” dai violinisti in quanto lo ritenevano ineseguibile. Poi un temerario lo eseguì (male) e dimostrò, ancora una volta, il genio di Čajkovskij.
Anche i lavori di questa russa fanno venir voglia di tornare a casa e buttare nel fiume la macchina da cucire, le stoffe, le righe, i fili e tutto il resto, per darsi a qualcosa di più abbordabile, il giardinaggio, l’escursionismo, il base jumping, qualsiasi cosa purché non abbia a che fare con la stoffa.

Dal sito Web di Irina Voronina

 

Il colore, luminoso, intenso, e mai forzato.

Il concerto è diviso in tre movimenti, allegro moderato, canzonetta (andante), per finire con travolgente allegro vivacissimo. Tutta questa luminosità sonora la troviamo anche nei famosi balletti dello “Schiaccianoci” e de “La bella addormentata”, ma qui è più ricercata e nel contempo più sfrontata.
Anche nelle creazioni di questa quilter russa il colore e la luce con i suoi riflessi sono i padroni della composizione, non a scapito però dell’armonia e dell’originalità, pur nelle rappresentazioni di soggetti tradizionali e pittorici.

Dal sito Web di Irina Voronina

 

Ecco come me la figuro: ispirata e libera come chi sta creando un’opera d’arte, precisa e decisa nel tagliare come una violinista, lucida e forte nel cucire come una direttrice d’orchestra.
A questo punto è ora di svelare il suo nome: Irina Voronina.

Vi chiederete a questo punto a che pro sia stata buttata giù questa, passatemi il termine, sviolinata.
Prague Patchwork Meeting vi dice nulla?

Stavo scorrendo l’elenco degli espositori di questa edizione, la sesta, e già mi pareva un bel parterre de rois, con molti nomi noti, quando l’occhio mi è saltato su quella riga: “Irina Voronina – Russia”. Credetemi, dopo aver visto le sue creazioni a Birmingham avevo sempre sperato in un bis, e quasi quasi non ci speravo più. Allora, se non bastassero i motivi che ho svelato nei miei articoli precedenti, quest’anno ho un pretesto in più (come se me ne servissero…) per andare a Praga, magari anche a piedi!
Però questi sono i miei gusti, personalissimi e discutibilissimi, e la sesta edizione del Prague Patchwork Meeting ha molte altre frecce al suo arco.
Finalmente pare che qualcuno sull’altra sponda dell’Atlantico si sia accorto che in Boemia stanno crescendo rigogliosi dei virgulti in grado di dare nuova linfa a questa forma d’arte, antica, ma qui ancora giovane.
Ci sarà il “cowboy” Ricky Tims, magari con qualcuno dei suoi lavori ispirati alla musica. Per chi ha voglia di imparare, oltre a Mr. Tims, saranno a vostra disposizione altre insegnanti di caratura internazionale, Kimberly Einmo e Pia Welsch, tanto per fare dei nomi, e scusate se è poco.
E internazionali saranno pure le creazioni che troveremo esposte dal 30 marzo al 1 aprile: francesi, americane, tedesche, austriache, svizzere, italiane, russe, olandesi, lussemburghesi, norvegesi, finlandesi (o finniche? Mah…), belghe, oltre naturalmente a quelle delle bravissime quilter della Repubblica Ceca.

Giusto per darvi un’idea del livello qualitativo che si prevede, questo è il tipo di lavori che sarà possibile ammirare alla mostra.

 

 

Anche se non saranno proprio queste le opere esposte, è lecito aspettarsi che se ne vedranno di egualmente pregevoli.

Come ho già avuto modo di constatare nell’edizione del 2011, è forte la spinta a sperimentare nuove forme espressive, audaci accostamenti cromatici, composizioni astratte e suggestive, e tale impulso non potrebbe trovare miglior collocazione, Praga, la città che assomma tutti gli stili, dal gotico al cubista.
Non aspettatevi quindi un gran pavese di blocchi tradizionali (aunque, è chiaro, ci saranno anche questi), ma venite con occhio vergine e buona disposizione d’animo, perché potreste fare degli incontri inattesi e sorprendenti, nuove armonie e tecniche in grado di porvi degli interrogativi e di rivoluzionare il vostro modo di considerare il patchwork, ma sono sensazioni che è necessario cogliere al volo…

Allora se proprio non sapete resistere alla voglia di venire anche voi al Prague Patchwork Meeting, vi consiglierei di dare un’occhiata al post “PRAGA – ISTRUZIONI PER L’USO” che si trova sempre in questo blog. Lì non troverete solamente le istruzioni dettagliate per arrivare alla mostra, ma anche dei pratici suggerimenti su cosa fare e cosa non fare a Praga, alcune informazioni di viaggio, e solamente l’ombra di ciò che potrebbe trasformare la vostra visita in un soggiorno indimenticabile. Se andate in una qualsiasi libreria e vi procurate una guida turistica di Praga troverete un sacco di notizie interessanti, di spunti e di aspetti che in questo blog non ho neppure sfiorato. Un punto di vista molto suggestivo la offre Meridiani, una rivista ricca di immagini e di suggerimenti per una visita “intelligente” di Praga, un numero veramente speciale che potete ordinare qui.

Per quanto mi riguarda ho già il mio programma. Scorrazzerò in giro coi tram per vedere tutti gli angoli più nascosti della città. Non mi farò mancare una visita (confesso, più d’una) alla mia birreria preferita, piccolissima e nascostissima.

Obbligatoria una discesa all’inferno, un ristorante dall’atmosfera tutta particolare e dalla cucina sopraffina. Alla faccia del colesterolo, in un altro locale che conosco, se trovo la compagnia giusta, ho intenzione di ordinare la “Spada di San Venceslao”, una specie di spiedino, però delle dimensioni di una sciabola.

Ma nonostante questa dieta degna di Pantagruel, non credete che si riesca a ingrassare troppo. C’è tanto da vedere, e quindi da camminare, tanto che vi si consumeranno le suole delle scarpe.

Bastano un paio di scarpinate fino a Hradčany, il borgo del Castello, oppure una chilometrica passeggiata sulla collina di Petrin, magari anche la lunga scalinata che porta al metronomo di Letná, o una capillare quanto piacevole visita al quartiere di Vinohrady, e, perché no, percorrere il lungofiume sulle sponde della Moldava (andata e ritorno ovviamente), per riuscire a smaltire qualsiasi manicaretto.

mi’ ovvio che chi si recasse per la prima volta in questa città non può farsi mancare la visita al Castello (Palazzo Reale, Basilica, Vicolo d’Oro, pinacoteca, Palazzo delle Nobildonne, 350 Corone Ceche), il passaggio sull’affollatissimo Ponte Carlo, una passeggiata nella Città Vecchia e nel Quartiere Ebraico (con visita al cimitero, quello del libro di Umberto Eco), una capatina sull’isoletta di Kampa e, da lì, a Malá Strana, e ancora, per un caffè nel caratteristico Passaggio Lucerna, vicino a Piazza San Venceslao.

Chi ama la letteratura non può esimersi dal percorrere le cupe sale del museo dedicato a Franz Kafka. Sicuramente più vivace il Museo Mucha, con molte opere di questo grande pittore rappresentativo di quella breve estate europea che fu il Liberty, oppure il piccolo ma caratteristico Museo delle Marionette. Badate, nulla a che vedere con le importanti esposizioni praghesi, ma sicuramente più adatte a chi desidera un assaggio della particolare atmosfera di questa antica città.

Ma non si vive di sola Praga.

Se avete qualche giorno libero per visitare i dintorni, e se non vi spaventa girare per conto vostro, nel raggio di poche decine di chilometri avete solamente l’imbarazzo della scelta.

In soli quaranta minuti di treno potete arrivare a Karlštejn, per una visita al trecentesco castello di Carlo IV, re di Boemia e imperatore del Sacro Romano Impero, lo stesso Carlo del famoso ponte di Praga.

Altrettanto vicino si trova il castello di Konopiště, a Benešov. Originario del XIII secolo, l’edificio fu ricostruito quasi completamente da Francesco Ferdinando d’Asburgo, l’erede al trono dell’Austria-Ungheria assassinato a Sarajevo nel 1914.

All’interno del castello (forse l’avrete già visto nel film “L’illusionista” con Edward Norton), oltre ai preziosissimi arredi originali e a una eccezionale collezione di armi, sono esposti i trofei di caccia di Francesco Ferdinando, circa 100.000, tutti catalogati e etichettati con maniacale precisione asburgica.
Certo è che, talvolta, il destino è bizzarro. L’arciduca fu evidentemente un cacciatore compulsivo avendo fatto strage di animali di tutte le specie ai quattro angoli della Terra, ma, per la legge del contrappasso, finì impallinato in Bosnia, diventando quindi causa incolpevole di un’altra strage mondiale, con un numero di vittime di gran lunga superiore.
Andiamo avanti. Il castello di Křivoklát è a un’oretta e mezza di treno da Praga, e anche se non ha la valenza storica degli altri due, può vantare una collocazione invidiabile, incastonato in una fitta foresta vergine, tant’è che già il viaggio, col treno che si insinua pigramente nella valle Berounka, sarà una gioia per gli occhi.

Se non siete particolarmente impressionabili vi consiglio una visita alla cittadina che avrebbe potuto competere con Praga: Kutná Hora. Nel medioevo, sotto il regno di Venceslao II, la presenza di ricche miniere d’argento la elevarono, al regno di “Città Reale”, con tanto di mura e castello. Nel ‘500 i filoni purtroppo si esaurirono, e di conseguenza la città decadde.

Di quel fiorente periodo ci sono rimasti un caratteristico centro storico, un castello, una chiesa imponente, un monastero e, appunto ciò che le persone impressionabili dovrebbero evitare, la “Chiesa di ossa”, l’ossario di Sedlec. La cappella in stile barocco è decorata internamente con le ossa di 40.000 (quarantamila!) vittime della peste. Si narra che in questa località fu sparsa della terra prelevata a Gerusalemme ai tempi delle crociate, per cui molte persone espressero il desiderio, per quando sarebbe venuto il momento, di venir tumulate in questa terra che ritenevano “santa”.

La cappella è decorata unicamente con ossa umane, nessuna esclusa, realizzando anche un grande candelabro e lo stemma degli Schwarzenberg, signori del luogo.

Permettetemi due suggerimenti. Primo, quando arriverete in treno a Kutná Hora, accettate il passaggio in pullmino fino in centro, vi risparmierete un bel pezzo di strada; mai poche corone saranno così ben spese. Secondo, vedete di scovare una piccola pasticceria vicina alla “Corte italiana”, a destra salendo verso il monastero, troverete un ambientino improbabile dove vi serviranno delle torte fatte in casa degne di un locale viennese.

Badate che quello che avete letto finora è solamente una frazione delle possibilità offerte dalla Boemia, ma è meglio che mi fermi qui, altrimenti vi farei correre il rischio di scordare che siete a Praga per il Patchwork Meeting. Comunque se avete bisogno di altre informazioni non avete che da scrivermi a info@lastoffagiusta.it oppure a rossana@lastoffagiusta.it .

Ah, stavo per dimenticarmene, se venite su per la mostra, capitate giusto nel periodo di apertura mercatini di Pasqua, uno nella Piazza della Città Vecchia (Staromestské Namesti) e uno in Piazza San Venceslao (Václavské Náměstí). Oltre alle caratteristiche uova decorate, potrete trovare molti prodotti artigianali, sia tessili che in legno. Se girando per le bancarelle vi venisse una punta di appetito, ad ogni angolo vendono il trdlo (manicotto di Boemia), un dolcetto da passeggio, oppure i bozi milosti (grazia divina), un po’ come i nostri crostoli (cenci, ciacole, sfrappole). Nel caso temeste un calo di zuccheri, il beranek vi dovrebbe salvare. Si tratta di un dolce tradizionale a forma di agnello, ben ricoperto di glassa.

Bene, a questo punto spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, proponendovi un’escursione “estetica”, ovvero dalla bellezza architettonica a quella tessile, due mondi solo apparentemente diversi, per dimensioni e materiali, eppure entrambi nati dalle stesse radici: l’arte e la cultura. Quando qualche persona superficiale giudicherà con sufficienza (capita) l’opera che state cercando di realizzare con degli umili pezzi di stoffa, non prendetevela a male, piuttosto compatitela perché non sa, non capisce, è cieca, neppure immagina che non state semplicemente tagliando della stoffa, bensì state eliminando quella in eccesso, salvando ciò che per voi ha valore, al fine di comporre una vostra visione, armonica ed espressiva, che magari non sarà solamente un quilt da appendere, ma anche un mondo da sognare.

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