Mostra bagnata, mostra fortunata, dicono…
Certo è che il tempo, quel giorno di fine novembre, fece di tutto per dissuadermi dal visitare la mostra di patchwork a Bassano del Grappa.
Una pioggia stizzosa, condita da un vento dispettoso che rendeva inutile anche l’ombrello, prometteva di trasformare quella gita in una prova di sopravvivenza.
Si sa però che noi quilter abbiamo la testa dura: se mostra era prevista, mostra doveva essere, costi quel che costi.
Giunsi così, bagnata come un pulcino, a Palazzo Bonaguro che, per soprammercato, è all’altro capo di Bassano rispetto alla stazione ferroviaria.
Appena entrata però mi riscaldai immediatamente. Sarà stato forse per la calorosa accoglienza di Giuliana e delle sue amiche, oppure per l’effetto che sempre mi fanno le grandi trapunte patchwork che, un po’ per la loro struttura, e un po’ per i loro colori, mi trasmettono sempre un senso di avvolgente tepore.
All’ingresso si veniva abbagliati (non trovo altro vocabolo) da uno stupendo lavoro collettivo, una serie di banner verticali realizzati con sole tre tinte: bianco, marrone e nero, ovviamente in tutte le loro sfumature.
Ogni quilter del gruppo aveva realizzato, negli stretti limiti imposti, un singolo banner, assecondando il suo particolare estro. Ne è risultata un’opera comunque bilanciata, armonica, che non si finirebbe mai di guardare, per scoprire ogni volta un nuovo dettaglio interessante ed inatteso.
Va da sé che erano esposti anche altri lavori interessanti, molti di stampo classico, estremamente impegnativi per dimensioni e tecniche impiegate.
Non che mancassero opere decisamente originali, come testimoniano un dettaglio ricavato da una coperta per un tifoso di calcio (indovinate di che squadra),
oppure questa semplice borsa “Betty Boop”, a riprova che, per creare cose carine, basta un po’ di gusto, un po’ di fantasia, ed un po’ di coraggio, il resto viene da sé.
Il tocco di pazzia, che non deve mancare mai, veniva fornito da questo allegro pannello di sapore un po’ fiabesco ed un po’ naif.
Come se non bastassero le difficoltà intrinseche a questa nostra passione (Hobby? Arte? Droga?), ci si è messa anche l’ambientazione non proprio favorevole, e posso solo immaginare i salti mortali che ha dovuto fare Giuliana (anche un po’ ammaccata per giunta) per riuscire a sistemare tutti questi grandi lavori in locali più adatti ad un’esposizione di numismatica che ad una mostra patchwork, e fare in modo che tutte le opere possano essere adeguatamente ammirate.
I particolari sottostanti testimoniano l’abilità che le amiche di Bassano si permettono di sfoggiare, un traguardo raggiungibile unicamente dopo anni e anni di paziente e tenace dedizione.
Ho notato con estremo piacere l’importanza data ai lavori di gruppo, composizioni collettive dove ognuna di loro ha lasciato la sua particolare impronta, a prescindere dalle inevitabili (ma non insormontabili) differenze di competenza tecnica. Ritengo che ciò sia di fondamentale importanza, per mantenere un senso di comunanza, e per stimolare la crescita individuale.
Dal passato è giunta fino a noi questa coperta del diciannovesimo secolo,
una specie di macchina del tempo che, in quest’epoca di gusti volubili, ci ricorda che, mentre le mode passano, il patchwork resta, e sempre resterà, a dimostrazione di cosa si può ottenere, impegnando fantasia e volontà, con dei semplici avanzi di stoffa.
Perché l’essenza del patchwork è questa: unire per dare forma, vita, voce, a entità altrimenti insignificanti, così vale per le semplici note che formano una sinfonia, le semplici piante che fanno un giardino, e le (non sempre) semplici scelte quotidiane che fanno una vita intera; l’abilità sta nel comporle in armonia, affinché “l’insieme sia diverso dalla somma delle parti”.