Qualcosa si deve pur fare

Quest’anno niente Festival of Quilts a Birmingham per me. L’arrivo in Inghilterra di un gran numero di visitatori per le olimpiadi di Londra non prometteva niente di buono: ressa, caos, e prezzi alti.
Che fare allora? Allora vado giù a cucire, che fa più fresco, e magari ci scappa pure un gelato ogni tanto.Ho aperto la mia cassaforte: scoppiava di stoffe.
Agosto non è un mese buono per imbastire delle coperte patchwork, non c’è, come dire, lo spirito giusto. Neanche dei quadri mi andava di fare: la natura circostante mi stava surclassando.
Perciò ho deciso di utilizzare, nel più tradizionale spirito patchwork, tutti i ritagli dei ritagli degli avanzi di recupero, per realizzare qualcosa di utile: delle borse.

Passare al tridimensionale non è facile, me n’ero già accorta, ma di tempo e di occasioni per sbagliare ne avevo a iosa, così, un po’ inventando, un po’ copiando, un po’ indovinando, mi sono fatta scappare dalle mani queste piccole cose, le quali hanno in comune la caratteristica di essere tutte diverse.

Certo è che non potrei rifarne di uguali.

Per prima cosa non ho più quelle stoffe, e poi non sono sicura di ricordare bene come le ho realizzate. Il più delle volte amo prendere in mano un francobollo di stoffa, avvertirne la solitudine, e desiderare di circondarlo di coloratissimi fratelli. E allora le mani agiscono di loro iniziativa, mi precedono, e a me resta il piacere di ammirare ciò che ne nasce.
Certo, le borse le ho fatte io, però era l’io dei “quel” momento, forse non perfetto, ma unico e irripetibile, come dovrebbero essere tutti i momenti della nostra vita. A chi andrebbe o sarebbe capace di rifarla uguale?

P.S. Non è mica finita qui…

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