Treviso e Bassano 2016

Eccomi qua, a raccontarvi, col solito tempismo, ciò che ho avuto occasione di vedere a Novembre nella Marca e sulle rive del Brenta, ma chi ha la pazienza di seguire questo blog ha certamente anche la pazienza di adeguarsi ai tempi “dilatati” tra gli eventi e la loro pubblicazione. Che ci volete fare, è una questione di memoria, nel senso che mi va di rivedere le opere con un certo distacco temporale, e nel ricordo della visita trovo in parte le sensazioni che mi hanno fatto apprezzare o meno quanto esposto, per arrivare a quell’operazione volgarmente definita come “tirare le somme”.
Cui prodest? In primo luogo serve a me, a conforto oppure a contrasto delle mie opinioni, non sempre accomodanti e neppure tanto rosee, in second’ordine le immagini del blog “restano”, ovvero non sono predestinate al rutilante oblio delle varie piattaforme cosiddette “social”, la scena dove tutto appare immediatamente solo per essere altrettanto rapidamente sommerso da sempre nuovi eventi, argomenti, notizie, immagini, soggetti, altrettanto sensazionali, altrettanto fuggevoli.
Vi invito a fare con me un esperimento, andate a cercare su uno di quei famosi aggregatori di gran varietà l’immagine di qualche opera che vi ha colpito in maniera particolare , diciamo solamente qualche mese fa, una bella immagine intendo, non una fotina fatta di sghimbescio. Dura eh?
Qui no, qui dovete attendere, però potete anche attendervi di trovare quello che cercate, per un’ispirazione, un confronto, una condivisione, un attimo di piacere.

Treviso-StemmaFatta questa premessa passiamo alle mostre, e iniziamo con quella di Treviso organizzata dall’associazione Patchwork Idea.
L’esposizione si teneva, come sempre, nelle ampie sale dell’antico palazzo medievale Ca’ de Noal.
Se già non fossi già abbastanza pessimista del mio, mi è giunta all’orecchio la voce che questo “sempre” potrebbe anche interrompersi in futuro, un altro segno della disattenzione e della disaffezione verso il patchwork nostrano, come se bastassero tutti i problemi legati ai difetti di interpretazione, alla sua scarsa diffusione (promozione compresa) e all’elevata età media delle artiste (me compresa ovviamente).
Bando alle tristezze e vediamo in questo breve filmato cos’hanno proposto le quilter di Treviso, le quali non hanno smesso la buona abitudine di invitare anche artiste di altri paesi, in questo caso dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca.
L’arte emancipata, questo il titolo della mostra, e devo ammettere che non sono certa di averne compreso il senso ultimo. Finora avevo sempre collegato l’emancipazione a tutte quelle azioni tese a liberare una o più persone da vincoli, discriminazioni, dipendenze e costrizioni varie (così la pensa anche il mio Devoto-Oli); potrei supporre che le artiste trevigiane abbiano voluto traslare questo anelito di libertà espressiva anche al patchwork, emancipandolo non solamente dall’etichetta di hobby femminile, ma anche dai modelli artistici imposti dalle scuole d’oltreconfine.
Lascio a voi il giudizio sulla buona riuscita di questo ardito esperimento.
Bassano_del_Grappa-StemmaPresa la tradotta di Trenitaglia siamo infine giunti a Bassano del Grappa, la cittadina che scherzosamente amo definire “la Mitrovica del patchwork”.
Nonostante ciò non mancherei mai a una mostra a Bassano, non solamente perché conosco personalmente alcune quilter del posto, e nemmeno per il fatto che si tratta di un’occasione di una piacevole gita, ma perché con Bassano del Grappa ho un legame particolare.
Eoni fa lì ebbi l’occasione di incontrare per la prima volta il vero patchwork in una mostra organizzata nel Palazzo Roberti. Vi prego di credermi, ricordo ancora l’emozione di quel mattino, la giornata fredda, un sole velato che prometteva più di quel che manteneva, le grandi sale, tutte quelle opere, grandi anch’esse, e vivida è la memoria di un coloratissimo patchwork che aveva per tema qualcosa di greco. Non avete idea di quanto mi sentii piccola e maldestra.
Da allora ebbi occasione di visitare altre mostre, esposizioni internazionali che furono per me conferma (dei miei limiti) e speranza (di valicarli), e ormai tutto quello che ho visto si confonde in un babelico caleidoscopio di immagini dalle quali pesco talvolta le mie strampalate considerazioni, però quella mostra mi è rimasta, come il primo amore, nella parte “buona” del cuore.
Direi che di sentimentalismo abbiamo fatto il pieno, e che sarebbe ora di passare alle cose concrete.
La Bonotto è un’azienda tessile di Molvena, con una caratteristica ormai più unica che rara, quella di essere una “fabbrica lenta”. Per la produzione si affida macchinari meccanici rigorosamente privi di ammennicoli elettronici, utilizzando attrezzature da altri considerate obsolete, perciò da scartare, da buttare.
Bonotto ha voluto riconsiderare l’aspetto qualitativo della stoffa, e con essa quello del lavoro, il “saper fare” che sembrava condannato all’estinzione dai prodotti un tanto al chilo.
Le artiste di Casa Patchwork e Quilting hanno dedicato alla Bonotto questo omaggio tessile, una serie di opere realizzate con le sue stoffe di lana, un’impresa non semplice per sottolineare il legame tra chi lentamente produce la materia prima e chi lentamente la sa utilizzare al meglio.
La sorpresa maggiore ci aspettava in alcune sale del primo piano nelle quali erano esposte delle opere tessili che definire inconsuete sarebbe riduttivo.
A meno che voi siate del Vicentino, e di Bassano in particolare (e anche lì…), o che abbiate studiato a fondo l’arte pittorica contemporanea, il nome di Odino Bacchin non vi dirà molto. Scomparso nel 2012, questo poliedrico artista probabilmente non ha ricevuto tutti i riconoscimenti che avrebbe meritato, anche se alcune sue opere sono state (tardivamente) esposte in vari paesi europei. Bacchin però era molto più poliedrico di quanto si potesse sospettare, in quanto realizzò negli anni ’80, praticamente di nascosto, molte opere tessili caratterizzate da un’originalità che le rende attualissime ancor oggi. Appresi in Toscana i principi della tessitura, volle applicarli in maniera pittorica seguendo un percorso naïf, sotterraneo come un fiume carsico, isolato da scuole e mode, ignaro di tutto ciò che non fosse la sua arte. Non sono mai facile agli entusiasmi, eppure sento di affermare che il posto giusto per i patchwork di Odino Bacchin non è Bassano, o non solamente Bassano, bensì la Val d’Argent.
Chi non sa di stoffa, di cucito, di patchwork, potrebbe trovare semplici, quasi elementari, le opere realizzate con le lane Bonotto, chi invece “sa”  è in grado di valutare le difficoltà che l’utilizzo della stoffa in lana comporta, lo spessore considerevole, il rispetto dell’ordito, la cedevolezza, i rischi di sfilacciamento, e di conseguenza può apprezzare il risultato finale: notevole.
Anche se le immagini dei due filmati possono già dare un’idea di quel che c’era da vedere a Treviso e a Bassano, potete osservare le opere nel dettaglio sui miei album Flickr, però non mi stancherò mai di ripetere che il modo migliore in assoluto è quello di osservarle “live” alle mostre.
Detto ciò non mi resta che augurarvi buon anno, e che sia ispirato, stupefacente, impetuoso, invidiabile, animato, appassionato, suggestivo, e soprattutto improbabile.
Ahoj

2 thoughts on “Treviso e Bassano 2016

    • Vero.
      Un esperimento produce sempre un buon risultato.
      Anche un esperimento non riuscito produce un buon risultato, il consiglio di non ripetere quell’esperimento.

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