Domenica bestiale – Prima parte

Incredibile, non piove!

Magari questa affermazione potrebbe risultare senza senso, però, se andate a dare un’occhiata al post “Quilting Day“, potrete capire perché questo fatto apparentemente banale, risulta, per me, stupefacente.
Se in più ripenso alla mia gitarella a Salisburgo, dove anche lì Giove Pluvio non s’è fatto vedere, mi sorge il sospetto che la mitica nuvola fantozziana abbia deciso di concedersi, finalmente, un periodo di ferie, e concedere, a me, uno spicchio di sole.

È domenica, finalmente domenica, la giornata nella quale si potrebbe dormire quell’oretta in più al mattino, aspettare che la voglia di un buon caffè sia l’unico motivo valido per alzarsi dal letto. E infatti, eccoci qua, in stazione, che non sono neanche le 7, il che vuol dire sveglia alle 5, però… non piove!
Tra una cosa e l’altra, quest’oggi percorreremo in treno circa 450 chilometri, e per chi usa spostarsi solamente in automobile, potrebbero sembrare qualcosa di epico, pari al tragitto sulla Transiberiana. Invece, Trenitalia permettendo, non è niente di straordinario, anzi, se organizzato come si deve, il viaggio può essere un momento di relax, specialmente se lo confrontiamo allo stare incolonnati per ore in autostrada, gli occhi incollati sul parabrezza a scrutare i cento metri di asfalto davanti al cofano dell’autovettura.
Vabbe’, lasciamo stare, sarebbe un discorso lungo, e torniamo al motivo di questo viaggio.
La destinazione innanzitutto: Bassano del Grappa.

Ormai ho perso il conto di quante volte ho visitato una mostra patchwork a Bassano, ma non intendo rinunciarvi, anche perché quella che viene definita la “location” ha il suo fascino.
Quest’anno è il turno dell’Associazione Bassano Patchwork, una delle due presenti in questa storica cittadina di quarantamila anime. Certo è che qui il rapporto quilter/abitanti dev ‘essere elevatissimo, da far invidia a una comunità Amish.
Il tema di quest’anno è “L’incanto del colore” e vedremo come le artiste di Bassano hanno trovato il modo di tradurre questo leit-motiv in una rappresentazione tessile.

A prima vista sembrerebbe un tema di facile interpretazione, ma io so per esperienza che talvolta il colore è traditore. Capita infatti che, cercando un equilibrio cromatico si finisca per “appiattire” il lavoro, oppure che, al contrario, ci si accorga, solamente alla fine della composizione, di una particolare tinta che sta “uccidendo” tutte le altre. Il colore è una bella cosa, tra le migliori esistenti in questo nostro universo, però va maneggiato con cura.

Per un pittore la vita, tutto sommato, è più facile, almeno al giorno d’oggi. Egli spreme una serie di tubetti, ne miscela il contenuto, lo diluisce, lo addensa, lo schiarisce, finché non salta fuori proprio quel medium espressivo che aveva in mente.
La quilter invece, non può prendere due stoffe e mescolarle assieme, lei deve già “vederle” come appariranno una volta accostate, tenendo conto anche del disegno, della trama, della luce, e poi deve misurare, tagliare, cucire, trapuntare, un surplus di lavoro manuale che richiede una certa dose di abilità e di pazienza, sempre sperando di non aver sbagliato tutto fin dall’inizio, perché, in quel caso, il colore non perdona. Come dicevano i latini “Per Aspera ad Astra“.

Allora entriamo.

Oltre alle immagini della mostra, immagini che si possono ingrandire cliccandoci sopra, con i nostri modesti mezzi (una vecchia camcorder trovata su ebay) abbiamo realizzato questo breve filmato visibile su YouTube.

All’ingresso, il posto d’onore è riservato a “Toni” di Mariarosa Tessarolo. Suppongo che si riferisca alle numerose nuances riposanti e ben combinate, non a qualcuno che porta un nome così diffuso in Veneto (ma anche se così fosse?).

Un lavoro altrettanto “importante” è questa coperta di Bruna Brunelli, “Batik d’Oriente”. Beh, che si tratti di batik è evidente, sono stoffe di qualità e dai colori sempre intriganti. Difficile sbagliare.

A proposito, se veramente volete vedere delle stoffe batik originali, fate una scappata al Museo d’Arte Orientale, situato ai piani superiori di Ca’ Pesaro, a Venezia.
Oltre a una serie di oggetti meravigliosi decorati con la lacca, la madreperla, e metalli vari, troverete esposte delle stoffe batik semplicemente M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-E, in confronto alle quali quelle attuali sembrano degli strofinacci da cucina, e magari riuscirete a comprendere come mai le quilter giapponesi sembrano provenire da un altro mondo. È proprio così, è un altro mondo.

Sapete come si dice: “il vino buono sta nella botte piccola”, e così, fra questi due giganti, ho subito notato questo lavoro di Grazia Moro, “Notte di San Lorenzo”. A riprova dei miei personalissimi gusti, raramente condivisi, questo è uno dei lavori che ho più apprezzato, troppo forte! Questa non si può definire “arte tessile, bensì “poesia tessile”.

Anche ad Alessandra Piva piace uscire dal seminato e, oltre a un pannello realizzato con vecchi jeans e un quadretto lunatico, ha ricomposto un puzzle di stoffe, non pezze, ma brandelli, quelli che in veneto vengono chiamati “sbrindoli”, ottenendo lo scrapwork “Il caos… tempestivamente”, forse nel senso di una tempesta di colori.

Un Log Cabin non deve mai mancare in una mostra patchwork. Bruna Sperotto ha intitolato questa coperta “Buoni sogni”, però quei colori non lo conciliano mica tanto il sonno. Magari al mattino quelle tinte allegre ti mettono di buonumore, e allora avrei scelto “Buongiorno!”.

 

Anche questo arazzo è stato realizzato da Bruna Sperotto, “Rosa turchese”. Più fedeli al tema di così, si muore.

 

Alessandra Piva non si smentisce. “L’Africa che sogno” non è un patchwork, bensì è una tavolozza di colori etnici, magari, come dice lei, ormai più sognati che reali.

Guardando quest’opera che non si concede a una facile interpretazione (è un complimento), ripenso ai quei poveracci scappati da quel continente sublime e disgraziato, i quali, per sopravvivere, sono costretti a cercare di rifilarci della paccottiglia cinese. Quanto vorrei invece che si presentassero alla mia porta per vendermi le loro originali e meravigliose stoffe smeraldo, arancio, ocra, terra, carbone, indaco…

Sull’onda dei colori etnici ecco un pannello di Erminia Lazzaro, intitolato appunto “Armonia etnica”. Indubbiamente armonioso, e oserei dire “ideale”. Troppe volte abbiamo udite le parole “etnia” oppure “etnico” usate per qualificare un conflitto insanabile, oppure un’odiosa intolleranza. Speriamo, non resta altro da fare.

 

Ecco un lavoro classico, “Astri fulgenti” di Erminia Lazzaro, una serie di blocchi “standard” però realizzati con colori assai poco americani. Si va dal kaki al mogano, dal denim chiaro (jeans scolorito) al porpora, senza che nessuno di questi prenda il sopravvento o, al contrario, scompaia. Complimenti.

 


A Marisa Perli piacciono le terre. Non solo per questo quadretto intitolato “Alba”,…

… ma anche in questo arazzo più grande dai colori tipicamente autunnali. Infatti “Autunno”.

 

“L’esplosione dell’estate” di Carmen Zolesi, è veramente un’esplosione di colori. Lavoro sicuramente impegnativo da realizzare, ma ancora di più da osservare. È così prorompente che si ha la sensazione di guardare il Sole.

C’è ancora dell’altro, come potrete vedere se andate sulla pagina Flickr dove abbiamo inserito le fotografie della mostra.

Però, vorrei chiudere questa carrellata di immagini con qualcosa di veramente diverso, e con ciò non intendo ricercato oppure avveniristico, anzi.
Il patc
hwork è essenzialmente una composizione di sensazioni, umori, sogni, elementi astratti che cercano la loro strada attraverso la stoffa per manifestarsi.
Io non so chi sia Loredana Zonta, non la conosco, ma, se le sue creazioni rispecchiano un poco il suo carattere, dev’essere una persona amabile, altrimenti non si spiegherebbe perché, tra tutti i materiali disponibili, le abbia scelto proprio delle coperte di lana per realizzare un patchwork accogliente come un “Caldo abbraccio”.

 

E a nostra volta salutiamo con un caldo abbraccio ideale le quilter di Bassano, e ci incamminiamo alla ricerca di un posticino dove ricaricare le batterie, prima del prossimo exploit.

E davanti a una Jever, una pils della Frisia, è il momento di ricavare qualche considerazione, di appuntare le sensazioni finché sono ancora fresche di vista, in modo da riuscire poi a trasmetterle (male) in questo post.

Com’era la mostra? Soddisfacente? Deludente? Interlocutoria?.

Diciamo subito che quando si viene a Bassano l’aspettativa è abbastanza elevata, e che ormai non è facile sorprendersi.
I lavori erano indubbiamente pregevoli, non ci aspettavamo di meno, e la loro sistemazione, in simbiosi con alcuni elementi di falegnameria artigianale, era molto curata. Come già nelle passate edizioni, si nota la ricerca di nuove strade, ma senza fughe in avanti. Fin troppo facile infatti dipingere la stoffa e poi quiltarla con una macchina da ricamo automatica, come purtroppo mi è capitato di notare in più di qualche blasonata esposizione.

No, qui imperano ancora ago e filo, cutter e forbici, mano e ditale, anche se la strada sarà indubbiamente più lunga e impervia, e il successo non sarà sempre garantito.

Ciò che ci cruccia un po’ non dipende dalle brave quilter di Bassano, bensì dall’impressione si stia perdendo un treno, che per cause varie, tra le quali la disaffezione generale verso l’arte e la cultura, la cronica frammentazione di iniziative che dissipa le poche energie, la crisi che relega l’arte tessile tra il “superfluo” (quando finalmente era riuscita a varcare l’angusta gabbia di “lavoro femminile”), e l’assenza di strategie in grado di suscitare interesse tra le giovani generazioni, molte associazioni siano condannate a una lotta per la sola conservazione dell’esistente, affidandosi unicamente all’inesauribile generosità delle socie.
Fino a qualche anno fa vedevo a portata di mano un “punto di svolta”, l’occasione di crescere e di avvicinare gli altissimi standard anglosassoni e francesi (di quelli giapponesi manco a parlarne). Per i motivi di cui sopra, ciò non sta avvenendo, e dispero che possa avvenire, almeno tra breve.
Si può solamente sperare che la testardaggine tipica di ogni artista abbia il sopravvento su tutte le difficoltà, e che riesca finalmente a far breccia in una società che esalta solamente il profitto e i campioni del calcio.

Accompagnati da questi pensieri agrodolci, ci avviamo a piedi verso la stazione ferroviaria, in partenza verso la seconda tappa di questo tour de force domenicale.

Però… non piove!

Ci vediamo.

Continua…

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