¡HOLA!

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Sitges – Festival de Patchwork 2015

A mig aire de la serra
veig un ametller florit.
Déu te guard, bandera blanca,
dies ha que t’he delit!
Il fatto che abbia iniziato questo post con le parole del poeta catalano Joan Maragall dovrebbe già farvi sospettare qualcosa.
Ho scelto proprio questi versi perché in una terra che è stata teatro di soprusi e rivalse, troppo simile alla mia, viene presa a bandiera l’unica che trovo accettabile, la chioma fiorita di un albero.
Tra queste colline che guardano al mare la primavera si annuncia già a marzo con i fiori di mandorlo, e in una località in particolare sbocciano fiori tessili con tutti i colori dell’iride.
Sto parlando di Sitges, una piccola cittadina a poca distanza da Barcelona, dove appunto a marzo è possibile ammirare questa singolare fioritura esposta al Festival Internacional de Patchwork.

Prima di entrare nel merito della mostra permettetemi di scusarmi per il notevole intervallo, più di un mese e mezzo, tra la manifestazione e la stesura di questo articolo.
Come appare evidente, l’aspetto del blog è diverso, ma ciò che invece non appare è il lavoro che abbiamo dovuto svolgere per effettuare la migrazione dalla vecchia piattaforma alla nuova: copiare il blog su un metablog provvisorio, scaricare tutti i contenuti grafici sul nostro PC, adattare i formati di testi e immagini, aprire il nuovo blog, trasferirvi gli articoli dal metablog, caricare nella nuova libreria tutti i contenuti grafici, collegarli agli articoli presenti nel nuovo blog, tutte queste operazioni articolo per articolo, immagine per immagine, e sperare che tutto funzioni è stato un lavoraccio. Comunque, a quanto pare, ce l’abbiamo fatta.
Torniamo ad argomenti più piacevoli.
Già da qualche anno fantasticavo di fare una puntatina in Catalunya, ma la soppressione del treno EuroNight “Salvador Dalì” che da vent’anni collegava Milano con Barcelona era stato motivo di disappunto e disamore (sapete come la penso sui viaggi in aereo), per cui, come si dice, c’avevo messo una pietra sopra.
Comunque la pietra non dev’essere stata troppo pesante. Infatti qualcuno di mia conoscenza m’ha messo sotto il naso i biglietti aerei e la prenotazione dell’albergo per Barcelona, e m’ha convinta all’istante.
Basta, basta, basta parlare di me, parliamo di Sitges.
Vediamo innanzitutto quella che oggi s’usa chiamare la “location”: splendida.
Sitges

Sitges – dal sito www.stoketravel.com

Siamo ben distanti dal caos di Barcelona. Sitges è raggiungibile da Barcelona-Sants con il treno (linea R2), e anche se per il tragitto si impiegano solamente trenta minuti, non sembra di aver svoltato l’angolo, ma di aver cambiato pianeta.
Si scende in una località balneare non troppo artificiosa, 28.000 abitanti circa che diventano 33.000 in alta stagione. La vocazione cosmopolita di questa cittadina è testimoniata dal fatto che più del 30% dei residenti non è catalano o spagnolo.
Il paese è piccolo e la gente mormora, ma di che mormora? Ma di patchwork ovviamente. Infatti appena usciti dalla stazione si possono notare ben visibili sul marciapiede le indicazioni per la mostra, …
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Impossibile sbagliare

… e ogni tanto dai balconi e dietro le vetrine di qualche negozio fanno capolino dei patchwork, non so se come promemoria, stendardo o monito.

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Anche se non ci fossero le indicazioni per arrivare al mare la strada è semplice: basta andare in discesa.
Dietro alla chiesa de San Bartolomé y Santa Tecla, quella che si vede in quasi tutte le fotografie di Sitges, si scende fino a Plaça Vidal i Cuadras. Un certo assembramento tradisce la presenza della biglietteria dove, oltre al solito braccialetto passepartout adesivo, viene distribuita una piantina del paese con le indicazioni precise sull’ubicazione delle varie mostre.
Infatti le dimensioni ridotte degli edifici non consentono un’esposizione “plenaria” perciò, facendo di necessità virtù, è stata preferita una serie di esposizioni “decentrate”, più piccole ma con la possibilità di inserimento in ambienti molto suggestivi.
Nessun problema comunque dato che ognuna di queste mostre è raggiungibile a piedi, giusto una passeggiatina attraverso le pittoresche stradine del luogo.
Accanto alla biglietteria si trova l’ingresso dell’Edificio Miramar, la nostra prima tappa.
A dispetto del nome, Cynthia England non è inglese bensì texana. Sono sue le prime opere che si notano entrando, e come non notarle dato che sono, in omaggio alla tradizione americana, enormi. Meno tradizionale è invece la tecnica da lei sviluppata e che ha chiamato “picture piecing”.
Cynthia spezza un soggetto, generalmente un paesaggio, e lo ricompone mediante una semplice (si fa per dire) cucitura diritta di frammenti di stoffa, il che le consente di ottenere in tempi relativamente contenuti delle opere di grande effetto scenografico.
Osservando i suoi lavori non posso fare a meno di supporre che per restituire tutte quelle sfumature pittoriche si debba avere a disposizione un’illimitata varietà di stoffe, impensabile per noi comune mortali.
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Cynthia England – In the Southern Tradition

C’è un certo affollamento, quindi incontro qualche difficoltà per abbracciare con un unico sguardo questi lavori come si conviene, ovvero da lontano, e quando ci riesco l’impressione che ne ricavo è duplice: da una parte ci stanno il gradimento estetico, l’ammirazione, diciamo pure l’invidia per l’abilità di questa quilter, mentre dall’altra ci stanno le stesse cose viste con l’occhio di un’incontentabile del mio stampo, l’estetica di una bella cartolina, l’intento di piacere, la superba dimostrazione di bravura, aspetti languidi e leziosi assieme. A voi il giudizio (se volete…).
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Cynthia England – Piece and Quiet

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Cynthia England – Open Season

 

Poco più il là ci sta un altro mondo, il “vecchio mondo” che espone opere più innovative di quelle del cosiddetto “nuovo mondo”. Si tratta di alcuni lavori che hanno partecipato al concorso internazionale “Imagine” durante la ventesima edizione del Carrefour Européen du Patchwork in Val d’Argent.
I lavori sono meravigliosi, trascendono la semplice ammirazione e giustificano appieno la fama di “università del patchwork” che contraddistingue la mostra alsaziana.
Anche qui la solita lotta per riuscire a realizzare delle foto che rendano giustizia all’opera, ma la fortuna mi assiste e si materializza in forma di uno splendido catalogo e nell’incontro con una persona della quale non voglio svelare l’identità, sappiate comunque che si tratta di un mito nel nostro ambiente. Forse sarò meno evasiva nel prossimo articolo dedicato alla mostra di Praga, e dato che nella stessa mostra praghese questa collezione di opere era più estesa e meglio disposta, preferisco rimandarvi a un prossimo articolo per una migliore visione delle stesse.
Eccovi comunque qualche anticipazione.
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Barbara Lange – Imagine we had never met

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Ina Georgeta Statescu – Entre rêve et réalité

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Helen Dickson – In the Library at Night

 

Il piano superiore è dedicato a diversi concorsi, “Música con un toque de … rojo”, organizzato dalla European Quilt Association, “Sueños” organizzato dalla Asociación Española de Patchwork, e altro ancora…
Seguendo il famoso principio “il blog è mio e lo gestisco io”, preferirei soprassedere sui risultati dei concorsi, sempre opinabili, sempre mediati da gusti e cultura locale, e andrei a rivedermi alcuni lavori che hanno lasciato un segno nella mia immaginazione, sempre sperando che siano anche di vostro gradimento.
In Catalunya, Cambrils è el País del Vi“, il paese del vino, e proprio da questa città piccola come Sitges arriva Montserrat Forcadell, e cosa ci offre? Ma un goccio di buon vino, mi pare ovvio!
Montse Forcadell - La gota

Montserrat Forcadell – La gota

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Tranne che in piena estate, piove spesso a Plamplona, costretta tra i Pirenei e il tremendo Golfo di Biscaglia. Forse per questo motivo Nieves Flamarique sogna di partire da Pamplona, attraversare la Penisola Iberica, salpare da Barcelona per sbarcare a Tangeri, e da lì, via verso posti mitici, Casablanca, Marrakech, Agadir…
Nieves Flamarique - Sueños de Africa

Nieves Flamarique – Sueños de Africa

 

C’è chi invece dell’Africa sogna l’America, ma non quell’enorme tritacarne automatico costruito dall’uomo bianco, bensì le grandi pianure centrali di secoli fa, quando i Cheyenne scorrazzavano liberi dalla regione dei Grandi Laghi fino al Sud Dakota. Di quella cultura è arrivato fino a noi l’acchiappasogni, un oggetto che veniva sempre appeso all’esterno della tenda. In realtà i colori delle penne non avevano nessuna funzione “magica” in quanto indicavano semplicemente quale fosse la “specializzazione” di chi viveva in quella tenda. Solamente i preconcetti di chi portava la cosiddetta “civiltà” poteva travisare così platealmente il significato di questo oggetto.
Isabel Muñoz - Atrapasueños

Isabel Muñoz – Atrapasueños

Claudia López - Atrapa tu sueño

Claudia López – Atrapa tu sueño

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Maria Ragusin invece non ha dubbi. Niente praterie, niente nativi americani, niente bisonti, lei vuole andare a New York, lei vuole la Grande Mela, e vuole restarci, perciò via con un biglietto di sola andata!
Maria Ragusin - One Way Ticket

Maria Ragusin – One Way Ticket

 

E già che siamo in giro per il mondo facciamo pure una scappata in Giappone.
Yukata è un tipo di kimono estivo abbastanza informale. Anche se attualmente vengono realizzati in varie tinte, un tempo il colore tradizionale di questo indumento era l’indaco nelle sue varie sfumature, più brillanti per le persone giovani, meno vivaci per la maturità.
Carme Guasch - 'Yukata' somni complert

Carme Guasch – ‘Yukata’ somni complert

Carme Guasch - 'Yukata' somni complert - Detail

 

“La caverna dei sogni” potrebbe voler significare molte cose. La caverna, per sua natura, è buia, oscura, e parimenti sono oscuri i sogni, oppure solamente dal buio più assoluto, privo di ogni interferenza visibile, possono sorgere i sogni.
Alla luce ci sono tutti i colori che possiamo vedere, nel buio ci sono tutti gli altri colori che possiamo  immaginare.
Inmaculada Gabaldón - La caverna de los sueños

Inmaculada Gabaldón – La caverna de los sueños

Inmaculada Gabaldón - La caverna de los sueños - Detail

 

Pregevole quiltatura (a macchina) per questo quadro immaginato (sognato?) da Juana Castañeda. Trattandosi di un sogno “lunare” è inutile andare in cerca di un’interpretazione, nemmeno freudiana. Il fatto che si tratti di un sogno è comunque evidente: mai la Luna potrebbe essere figlia o madre di questi colori.
Juana Castañeda - Sueños de Luna

Juana Castañeda – Sueños de Luna

 

C’è chi sogna la Luna e chi si accontenterebbe di molto meno.
Si ha un bel dire che si lavora per la propria soddisfazione, che il patchwork è uno stimolo per dare forma alla propria creatività, che in fondo si tratta solamente di un’occasione per fare qualcosa di diverso, quando in realtà ogni quilter sogna di veder premiata la sua opera, fosse pure grazie a un riconoscimento poco più che simbolico. Del resto ci accontentiamo di così poco, che l’ambizione e la vanità ci debbono essere perdonate.
De doce a dos -  ¡Que sueño el de aquel día!

De doce a dos – Rosa Fabregat, Luisa Marina y Gemma Figueras – ¡Que sueño el de aquel día!

 

L’opera che vedete qui sotto rappresenta al meglio il rapporto di amore-odio che l’artista ha con il patchwork. Nella mitologia greca Chimera è un mostro con corpo di capra, testa di leone e un serpente come coda, con un mortale fiato infuocato (troppo peperoncino e troppo aglio suppongo). Fin troppo facile trovare dei collegamenti tra quel patchwork biologico e le pene dell’Inferno che talvolta ci fa passare qualche patchwork tessile.
Con l’aiuto di Atena e di Pegaso, il cavallo alato,  Bellerofonte sconfisse Chimera.
Con l’aiuto della pazienza e della fantasia María Arantzazu Oiartzun ha sconfitto la sua chimera e ci fa dono del trofeo, un assieme di piccole opere realizzate con tecniche diverse (paper piecing, crazy, applique…) assemblate sul tradizionale schema “Apple core”.
María Arantzazu Oiartzun - Quimera

María Arantzazu Oiartzun – Quimera

 

Da quindici anni Marisa Marquez si occupa di patchwork, come appassionata e come insegnante. La classe e l’esperienza si notano subito in questa creazione dalle sfumature delicatissime e in un’altra opera realizzata per il concorso internazionale “Imagine” del Carrefour Européen du Patchwork in Val d’Argent.
Marisa Marquez - Sueña, baila, vive

Marisa Marquez – Sueña, baila, vive

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Una spettacolare chiocciola mi fornisce l’occasione di constatare quanto un aspetto appariscente possa distrarre dal notare un aspetto essenziale. Non conoscendo né lo spagnolo e né il catalano non saprei tradurvi con precisione i complimenti che si sprecavano in continuazione per questo multicolore applique, indubbiamente di grande effetto, ma non saprei dirvi se uguali apprezzamenti sono stati rivolti alla quiltatura, filo nero su stoffa nera, a mano, un lavoro certosino e di notevole fattura.
Effetto speciale batte pazienza due a zero.
Perlita Weingarten - Caracol

Perlita Weingarten – Caracol

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“Ametsak” in basco significa “sogni” (e chi non lo sa?). Quest’opera merita una piccola sosta di contemplazione. Il blocco in sé è relativamente semplice, ma sono ammirevoli gli accostamenti cromatici, la tridimensionalità appena suggerita, l’allusione al sogno (a sinistra), nel momento così vivido da apparirci reale, che si trasfigura e si perde al risveglio (a destra), lasciando solamente una traccia confusa nella memoria.
Edurne Irigoyen - Ametsak

Edurne Irigoyen – Ametsak

Edurne Irigoyen - Ametsak - Detail

 

Ecco alcuni lavori originali e simpatici del concorso “Música con un toque de … rojo”.
Jaqueline Bahí - Dancing

Jaqueline Bahí – Dancing

Nives Flamarique - Amor por la música

Nives Flamarique – Amor por la música

Maria Lizano - Cervelló

Maria Lizano – Cervelló

Anna Gallardo - Quatro pianos

Anna Gallardo – Quatro pianos

 

All’uscita dell’Edificio Miramar mi attende un’esposizione tutta particolare, delle teche contenenti dei piccoli mondi in miniatura, stanzette arredate di tutto punto, va da sé ognuna con qualche trapunta e cosette simili. Vere chicche.
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Bene, bene, benissimo, tanti lavori, tanta varietà in questa che era l’esposizione più grande, e c’era già di che soddisfare gli occhi e lo spirito. Mappa alla mano è il turno delle esposizioni minori, badate bene, minori solamente come dimensioni ma non come qualità come avrei scoperto di lì a poco. Il tempo poi è meraviglioso, siamo a metà marzo, un marzo che noi non ci sogneremmo di avere neppure in aprile, perciò durante quei quattro passi tra una mostra e l’altra si gode di un tepore per noi precoce e inatteso.
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Ora è il turno di Cara Gulati con “Explosiones de Color” presso l’Espai Cultural Pere Stämpfli.
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Questa quilter americana è pericolosa, una dinamitarda. A lei piacciono le esplosioni, e così dopo il successo ottenuto con le sue creazioni “3D Explosion” ci riprova con i colori, molti colori, pure troppi. È fuor di dubbio che l’impatto cromatico è notevole, ma non so se riuscirei a tenere uno dei suoi lavori appeso su una parete di casa mia senza che influisca sul mio stato d’animo, e non in direzione di un maggiore relax.
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Cara Gulati – Rainbow Ripples

Diciamo che il suo motto potrebbe essere “siamo nati per stupire”, ma forse è tutta una questione di gusti.
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Cara Gulati – Ribbons of Wine

 

Altri quattro passi, giusto l’occasione per perdersi tra queste stradine (carreteres in catalano), e si arriva all’Estudi Vidal. Questo edificio settecentesco con rimandi architettonici di sapore gotico si trova in Carrer d’en Bosc, dove un tempo passavano le vecchie mura. All’inizio del ‘900 divenne abitazione e studio del pittore e scenografo Josep Vidal y Vidal. Dopo alcuni incarichi a Santiago de Cuba come decoratore e scenografo Josep tornò alla sua città natale e qui continuò nella sua attività artistica.
Lo studio è stato donato alla municipalità di Sitges dalla vedova Vidal.
In questa ambientazione caratteristica sono esposte le opere di Hubert Valeri, un maestro del Boutis contemporaneo.

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Hubert Valeri – Montée des abysses

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Huber Valeri & Patricia Martin – Noctachouette

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Hubert Valeri

Questa antica tecnica nata nel XVII secolo a Marsiglia con l’arrivo del calicot e del percalle, ha poi trovato diffusione in tutta la Provenza, la terra della lavanda. Sta tra il quilt e il trapunto fiorentino, e Hubert Valeri, grazie a una tecnica sopraffina, ha deciso di innovare i motivi più o meno tradizionali per proporre disegni e applicazioni di indubbio fascino.
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Hubert Valeri – Occitan à la palombe

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Hubert Valeri – Cigale

Hubert Valeri - Cigale - Detail
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Hubert Valeri

 

Dopo tanta grazia sarà difficile che io mi stupisca ancora.
Quanto mi sto sbagliando!
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Eccoci davanti al Mercat Vell (Vecchio Mercato) una costruzione del 1889 che, oltre a essere stato il principale mercato della cittadina fino al 1935, è stato il primo edificio di Sitges dotato di struttura metallica. Si tratta di un’opera dell’architetto catalano Gaietà Buïgas i Monravà, lo stesso che diresse l’Esposizione Universale del 1888 di Barcelona e che disegnò il gigantesco monumento a Cristoforo Colombo della città.
Ma le singolarità non si esauriscono qui.
Da 2010 questo edificio è sede della Casa Bacardí, e forse vi chiederete, come del resto è capitato a me, che diavolo c’entra il ron (rum per i non addetti ai lavori) con Sitges. Ebbene, proprio da qui Don Facundo Bacardí partì per Santiago de Cuba, dove nel 1862 cominciò a produrre l’omonimo ron di qualità superiore, il primo rum bianco invecchiato, puro ed equilibrato, perfetto per la creazione dei cocktail. A tutt’oggi è il rum premium più consumato nel mondo.
Durante la visita guidata della Casa Bacardí si può imparare tutto su melassa, alambicchi, botti, filtri, invecchiamento e altro ancora, oltre a gustare qualcuno dei più famosi intrugli, oops… cocktail preparati nel lounge bar interno con il Bacardi ron: Mojito, Cuba Libre, Daiquirí e Piña Colada.
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In questa ambientazione alternativa dedicata a un prodotto d’oltreoceano non potevano trovare migliore collocazione i patchwork d’oltreoceano amish e menonniti, esposti qui grazie a Jacques Légeret, una serie di opere autentiche, e tutte in vendita. Un vero peccato che non mi cresca qualche migliaio di euro in tasca, altrimenti rischierei di portarmi a casa un patchwork originale “Made in Amish”.
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Dall’antico al moderno.
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Passeggiatina sul lungomare e poi su per Carrer Joan Maragall, fino al mattatoio. Calma, calma, non è un film dell’orrore, l’Escorxador non fa più quel macabro servizio. Nel 1991 questo edificio è stato restaurato e quindi dedicato a varie manifestazioni, tra le quali il Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna.
Dunque dicevamo… moderno.
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Paula Naderstern – Kaleidoscopic XXV-it’s about Time

In realtà sono costretta a smentirmi subito in quanto Paula Nadelstern si ispira a immagini ottenute mediante il caleidoscopio, strumento inventato a Edimburgo nel lontano 1814 da Sir David Brewster, fisico noto per i suoi studi sulla luce. Ma anche se il caleidoscopio non è una novità assoluta, lo sono, almeno per me, le creazioni di Paula Nadelstern, e si non si può negare che mediante il patchwork lei abbia composto delle immagini diverse e intriganti.
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Paula Naderstern – Kaleidoscopic XXXIX – Right and wrong Sides together

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Passiamo allora dal moderno al modernissimo.
Vi faccio subito una domanda trabocchetto: quali materiali si possono usare per realizzare un patchwork?
Risposta: tutti.
Se avete indovinato non vi sorprenderanno i lavori di Amy Orr realizzati con i materiali più improbabili, carte di credito, fascette plastificate, tessere mediche, ecc.
Non c’è dubbio che nel suo patchwork “Fields of Dreams” Amy Orr voglia rappresentare l’artificiosità dei sogni che questi rettangolini di plastica colorata ci inducono a cullare. Sogni di plastica per una vita di plastica.
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Amy Orr – Fields of Dreams

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D’accordo, non saranno il massimo come copriletto, ma va senz’altro riconosciuta l’originalità di queste opere, le quali comunque hanno comportato un considerevole impegno nella composizione.
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Amy Orr – Coverage

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Torniamo verso il centro, fino a un altra fetta di storia di Sitges, il Casino Prado Suburense, edificato come centro culturale nel 1890 e rimodernato nella forma attuale nel 1924 in uno stile che assembla l’ottocento con il modernismo.
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Prado

Immagine da: www.casinoprado.cat

Nel vasto e spettacolare spazio del primo piano è stata organizzata la mostra del paese ospite di quest’anno, le Isole Britanniche, per la precisione The Quilter’s Guild.
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Che dire, anche se queste opere mi capita di vederle a Birmingham, qui, in questa ambientazione sontuosa hanno un aspetto diverso, potrei dire quasi che… respirano.
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Roberta Le Poidevin – Secret Cove

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Elisabeth Villalobos (longarm Kay Bell) – Astrum Pennaeque

Elisabeth Villalobos (longarm Kay Bell) - Astrum Pennaeque  - Detail

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Frieda Oxen – Born Free

Mi avanza pure il tempo e il coraggio di scambiare quattro parole nel mio improbabile inglese con la quilter anglosassone, quel tanto che basta per farle i complimenti per i lavori esposti e per l’augurio di rivederci nelle Midlands quest’anno. A proposito di Midlands… questo lavoro di Lesley Brankin mi ricorda qualcosa, ma cosa? Ah sì, Birmingham, e quei parallelepipedi sovrapposti dall’effetto estetico discutibile. Si tratta della nuova biblioteca pubblica, ma secondo me lo scopo di quell’edificio è di allontanare le persone dalla lettura. Se non ci credete guardate qui (comunque è sempre e solamente questione di gusti).
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Lesley Brankin – The New Library

 

Last but not least, la visita alla Villa Havenmann, ora occupata dalla Fundació Ave María, un’organizzazione umanitaria senza scopo di lucro.

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 La realizzazione nel 1880 del collegamento ferroviario con Barcelona permise all’epoca lo sviluppo di questa parte della cittadina, e la costruzione di nuovi edifici residenziali come la Casa Simó Llauradó e la Can Bartomeu Carbonell (o Casa del Rellotge) in stile modernista, la Casa Pere Carreras i Robert che si ispira all’Art Nouveau, e appunto Villa Havenmann con le forme geometriche della Secessione. Nella luminosissima cappella in stile romanico di questo storico edificio Cecília i Mercè González, in arte Desedamas, espongono “Sinestesia”, una serie di opere astratte di genere abbastanza innovativo.

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Cecília González – Sinestèsia – Rhapsody in Blue

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Cecília González – Log Cabin versus Skyscrapers

 

Ho voluto aggiungere quell’”abbastanza” (termine duttile e polimorfo) proprio perché le sorelle González così spiegano ciò che per loro racchiude il titolo dell’esposizione. Queste le loro parole:
“Sinestesia è la percezione comune di varie sensazioni di diversi sensi nello stesso atto percettivo, ad esempio ascoltare i colori, vedere i suoni, ecc.
In questa mostra, abbiamo lavorato sull’ascolto dei colori, in modo che ogni particolare è associato ad un colore e un tipo di musica.
Giocare con i colori, verde, blu, rosso, viola e l’assenza di colore.
Giocare con la seta, il dupion, le crepe, il satin, il velluto, la spelaia, la spugna, l’organza, i fazzoletti e l’assenza di seta.
Giocare con le forme, cerchi, quadrati, spirali e forme indefinite.
Giocare con le sovrapposizioni, di seta su seta, imbottiture impossibili e trasparenze…”
Ottimo proposito e, a giudicare dai risultati, l’ispirazione non è mancata. Però vorrei che almeno si fosse accennato a chi per primo (anche se non primissimo) ha battuto questo sentiero da esploratore: Vasilij Vasil’evič Kandinskij. Non vorrei passare per quella che non sono, perciò riporto alcuni estratti dal sito di Polymath:
“Nelle opere di Kandinskij l’armonia dei colore corrisponde a quella dei suoni musicali, con la ricerca di un effetto psicologico che va al di là del soggetto.
Il colore rosso per esempio può provocare l’effetto della sofferenza dolorosa, per la sua somiglianza al sangue. Il giallo invece, per semplice associazione col limone, comunica una impressione di acido. Alcuni colori possono avere una apparenza ruvida, pungente, mentre altri vengono sentiti come qualcosa di liscio, di vellutato, così di dar voglia di accarezzarli. Ma ognuno di essi corrisponde a delle forme che si distinguono nello spazio in modo preciso le une dalle altre. Ogni forma a sua volta, come il colore, ha una precisa corrispondenza: al cerchio associa il blu, al triangolo il giallo, al quadrato il rosso.
Kandinskij parte dai colori, anzi, dall’accostamento dei colori con i suoni musicali. Nello «Spirituale nell’arte» fa corrispondere il giallo alla tromba, l’azzurro al flauto, al violoncello, al contrabbasso e all’organo, il verde al violino.”
Beh, se non è sinestesia questa…
Badate, le opere di Desedamas si possono veramente definire arte tessile, approfitto solamente dell’occasione per ribadire che ogni quilter che avesse in mente di comporre qualcosa di originale dovrebbe perlomeno fare ogni tanto una capatina a qualche museo di arte contemporanea.
Come ogni manifestazione tessile che si rispetti, anche quella di Sitges prevede la “Feria”, tre ampi tendoni in riva al mare con decine e decine di espositori commerciali, e centinaia e centinaia di visitatrici curiose e chiassose quanto basta. Sembrerà impossibile ma, pur essendo il mio laboratorio (è un’iperbole) pieno di “tutto”, comunque trovo sempre qualcosa di interessante da portare a casa.
Vi dirò che già stando semplicemente seduta sul lungomare osservando la gente che passa c’è di che portare a casa, quest’aria di festa e di spensieratezza che non sempre capita di incontrare; non mi va di scattare fotografie, mi sentirei indiscreta, ma è facile riconoscere le afectuós del patchwork dal loro abbigliamento, patchwork appunto; guarda là, un gruppo con lo stesso vestito decorato con i wedding rings. Fantastiche!
Ecco le cose migliori che porterò a casa, tutte queste sensazioni di leggerezza, di spontaneità, di libertà, e anche di un briciolo di pazzia, perché quella non deve mancare mai.
Arrivati a questo suppongo che che qualsiasi persona, a meno che non abbia proprio niente di meglio da fare, dovrebbe essere già stufa di leggere questo articolo, perciò potrei anche chiudere qua.
E invece no.
Come potrei non raccontarvi anche il seguito? Già lo sapete che non si vive di solo patchwork, c’è di più. Mi perdoneranno Cecília i Mercè González se prendo a prestito il titolo della loro esposizione: sinestesia, questa è la caratteristica delle mie escursioni.
Certo, ci sono le mostre, il lavori, anzi i capolavori, ma ci sono pure l’agitazione e l’ebbrezza del viaggio, il fremito per la novità e l’incertezza, la predisposizione a stupirsi, il desiderio di colori, suoni, profumi e sapori sconosciuti.
Così, terminate le incombenze tessili, mi sono concessa un tardo pomeriggio e una serata che definire rilassanti non rende abbastanza l’idea.
Marzo è ancora bassa stagione a Sitges, le spiagge dalla sabbia quasi impalpabile sono pressoché vuote; a farci compagnia solamente qualche gabbiano e il suono (il suono, non il rumore) della risacca; l’ermita de Sant Sebastià è la posizione ideale per godersi il tramonto, con tutto il lungomare, l’iglesia de San Bartolomé y Santa Tecla, e poi in fondo, fino a Vilanova i la Geltrú, in bella vista.
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Sitges

Il sole è sceso sotto l’orizzonte di un mare che a noi abituati a un catino chiamato Adriatico sembra senza fine; la giornata ha ancora in serbo qualche sorpresa, un ristorantino nascosto e poco pretenzioso dove apprezzare la cucina catalana, quella di Sitges, non quella di Barcelona; invece che dulcis in fundo direi soavis principio, l’antipasto a base di xató, una porzione che basta per due di indivia, tonno, baccalà, acciughe e olive, accompagnata, direi quasi intrisa di una salsa di peperoni leggermente piccanti, nocciole, mandorle, briciole di pane secco, aglio, olio e aceto: una festa per il palato; il resto della cena non era da meno, vino compreso.
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Sitges

Il giorno dopo e quello seguente è stato dedicato a Barcelona, un’escursione “turistica” gradevole ma tutto sommato priva di rivelazioni (se si escludono i xurros…).
Non sarà un caso se proprio adesso, mentre sto leggendo e rileggendo questo articolo, le immagini di Barcelona mi appaiono sfocate, mentre rivedo, risento, riprovo vivide come allora le suggestioni di Sitges, un piccolo paese per una grande mostra.
Da rivedere.
Da rivivere.
Con chi ci sta.
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Adéu

P.S. Come sempre le immagini di questi patchwork e anche di altri presenti alla mostra sono disponibili ad alta risoluzione sul mio album Flickr.

11 thoughts on “¡HOLA!

    • Povera lo era una volta, quando questi lavori venivano realizzati con stoffe di recupero. Ora non è più così purtroppo, il business è arrivato anche qui.
      Ciao

      • Vero ,hai ragione ,ma non volevo svalutarla chiamandola arte povera ,ma al contrario rivalutarla, chi ha cominciato certo no pensava che potesse poi dare vita a dei capolavori ,ancora complimenti per il lavoro fatto !!

        • Non preoccuparti, nessuna svalutazione. Infatti queste opere avevano maggior valore quando sfruttavano il riciclo, era “povera” di materiali ma “ricca” di fantasia. C’erano delle vecchie stoffe, avanzi, brandelli, e la quilter creava un’opera d’arte con quel poco che aveva a disposizione. Troppo facile ora andare su un catalogo e comprare metri quadrati di stoffe colorate come più piace.
          Ciao ciao, e grazie.

  1. Post particolarmente piacevole ed interessante, sia per i contenuti che per le curiosità, gli spunti, le immagini.
    Alla fine lascia la voglia di andare a Sitges di persona il prossimo anno, ma al contempo la sensazione di esserci già stati! ;-)

    • Infatti spero di aver tentato qualche quilter (e non). Ma ogni sensazione però va provata sul posto, sia come ambiente e sia come esposizione (come già sai…)
      Gracias e hasta pronto. :-)
      R

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